Walter Bonatti, una vita più grande delle montagne
Mani sulla roccia, ramponi sul ghiaccio, la corda che ti lega ai com- pagni, il vento gelido sul volto. Di cose semplici, pure e grandi è fat- ta la vita di quegli uomini straordinari che nello spingere lo sguardo verso la vetta non dimenticano la responsabilità dei compagni di cor- data. Storie di montagna, dunque, ma anche di amicizia, di sacrificio, di lealtà, di lotta e anche di scelte tragiche. Fra la gente di montagna il nome di Walter Bonatti induce il rispetto e l’ammirazione che si de- ve ai maestri, non solo di arrampicata, ma di coraggio, tenacia, coc- ciuto amore per la verità, abnegazione.
Le sue imprese sono leggendarie, a cominciare dalla terribile notte del 30 luglio 1954 passata all’addiaccio a 8100 metri con lo sherpa Mah- di nel generoso tentativo di portare l’ossigeno a Compagnoni e La- cedelli che lo avrebbero utilizzato per scalare l’indomani il K215 Una prova fisica straordinaria ma anche l’esperienza di sentirsi abbando- nato e tradito proprio da coloro che stava cercando di aiutare. Una vicenda che ne avrebbe segnato indelebilmente l’animo oltre che a dividere per decenni il mondo alpinistico italiano. Quella notte Bonatti sfiorò la morte, la morte che sarebbe tornata a passargli affianco in al- tre sue imprese: nella salita al Monte Bianco la notte di Natale del 1956, durante la quale persero la vita François Henry e Jean Vincen- don; durante la drammatica scalata al Pilone Centrale del Freney del 1961 in cui morirono colpiti da fulmini, precipitando o di stenti ben quattro suoi compagni. Ma andando a leggere i racconti di quelle giornate terribili così come di tante sue altre imprese16 si scopre quanto grande fosse l’abnegazione di Bonatti verso i suoi compagni fino al punto di anteporre la loro salvezza alla sua. Sono tantissime le vie che aprì per primo sulle Alpi (compresa l’invernale sul Cervino), sulle An- de, sull’Himalaya e così le sue avventure e le sue spedizioni extra europee, dall’Alaska, alla Nuova Guinea, al Rio delle Amazzoni, alla Patagonia. Del suo modo di guardare il mondo è stato scritto: “Uno sguardo cristallino, morale fino all’ingenuità, sulle cose del mondo, della società, della politica, uno sguardo che sembra calibrato sui ghiacci, sulle rocce, sugli orizzonti della natura più che sugli ambigui paesaggi umani”.
Che io sia un sognatore è fuori dubbio,
le mie imprese hanno cominciato ad esistere
nel momento stesso in cui prendevano forma nella mia mente.
Tradurle nella realtà
non è stato che un seguito logico
di quella prima scintilla,
di quella prima invenzione.
E’ quando sogni
che concepisci cose straordinarie,
è quando credi
che crei veramente,
ed è soltanto allora che la tua anima
supera le barriere del possibile.
Questo io l’ho sempre creduto profondamente.
Non esistono proprie montagne, si sa.
Esistono proprie esperienze.
Sulle montagne possono salirci molti altri,
ma nessuno potrà mai
invadere le esperienze
che sono e rimangono
nostre.
Walter Bonatti
Approfondimenti
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Oggi le grandi spedizioni himalayane non sono più come ai tempi di Mallory o di Bonatti. I grandi scalatori possiedono mezzi e risorse un tempo sconosciute. Questo non rende meno valorose alcune delle loro imprese ma ci spinge anche a riflettere su chi sono gli Sherpa, gli uomini silenziosi e pieni di modestia che li accompagnano caricando fisicamente sulle loro spalle il peso delle attrezzature. Una storia meno spettacolare ma degna di essere raccontata ed ascoltata.
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