Il bambino che non voleva crescere
Nella celebre commedia teatrale di James Barrie: “Peter Pan, il bambino che non voleva crescere” è rappresentato con straordinaria finezza di particolari e sfumature psicologiche la lotta, personale, tragica, contraddittoria di un bambino contro il mondo degli adulti: un mondo pieno di buon senso (la cosa che Peter Pan aborrisce più di ogni altra), di regole, di disciplina. Peter vive invece nell’incanto, in mezzo alle fate e alle sirene dell’isola-che-non-c’è. E’ narcisista, capriccioso, viola tutte le leggi comprese quelle che egli stesso sancisce. Ma è anche audace, generoso, incapace di calcolo. Alla fine del terzo atto, mentre Peter, solo su uno scoglio, si prepara alla lotta contro Capitan Uncino per salvare la piccola Wendy succede qualcosa di particolare: ” Peter, finalmente, è spaventato e un tremito lo coglie, come un brivido che sfiori la laguna. Ma sulla laguna un brivido segue all’altro, fino a che ce ne sono centinaia, e Peter si sente completamente solo. Con un tamburo che gli batte nel petto come se finalmente fosse un vero ragazzo (dice): morire sarà una grandissima avventura.” E’ il capovolgimento della logica di K. per cui la morte e dunque anche la vita sarà assolutamente senza senso.
Il dramma di Peter Pan risiede nel fatto che egli resterà per sempre bambino. Quando, nell’epilogo, Wendy diventerà grande (e perderà la possibilità di volare) sarà sua figlia Jane che volerà via insieme a Peter nel cielo “fino a diventare piccoli come stelle“. E quando sarà Jane ad avere i capelli bianchi sarà la volta di Margareth, sua figlia, e così via fino a quando, avverte l’Autore “i ragazzi saranno allegri, innocenti e senza cuore”. Molti hanno visto in Peter Pan il simbolo di una generazione incapace di crescere, malata di narcisismo, incapace di diventare adulta. Nel saggio “La strategia di Peter Pan” di Aldo Carotenuto viene offerta una interpretazione diversa sicuramente discutibile ma fortemente suggestiva: “Peter Pan è un atto di accusa alla modernità: il mondo degli adulti non ha nulla da insegnare ai suoi giovani. Perché le sue regole non si prefiggono altro che perpetuare e conservare uno statu quo privo di scopi e di ideali, i cui fini sembrano essere prettamente economici, utilitaristici. (…) E’ l’azione rivendicativa dello ‘spirito’ contro un ordine che si è rivelato incapace di alimentare le energie migliori dell’individuo, di incanalare le sue potenzialità creative. E’ una rivolta contro quel ‘sorriso del disprezzo’ dei padri verso i figli incapaci ad adeguarsi al principio di realtà, sempre persi dietro ai loro stupidi pensieri”.
Ed è per questa ragione che, nel processo che viene quotidianamente celebrato a carico di tutti coloro che non accettano le regole precostituite del diventare grandi, mi permetto di pronunciare la seguente arringa: