AGESCI
La lotta con Dio
Nel libro della Genesi (capitolo 33) c’è un racconto strano e misterioso: Giacobbe è in viaggio, è sera ed è solo, deve attraversare un fiume. E’ un momento di cambiamento (passare da una riva all’altra), come tutti i cambiamenti ricco di incognite e di inquietudini. In quel momento sopraggiunge qualcuno, non viene detto il suo nome, e i due cominciano a lottare in modo furibondo. Il combattimento dura tutta la notte fino all’aurora e poiché nessuno riusciva a sopraffare l’altro l’uomo misterioso colpisce Giacobbe all’anca che subisce una lussazione. A questo punto tutti noi ci aspetteremmo che Giacobbe protesti vibrantemente per un colpo proibito: invece ecco il colpo di scena: Giacobbe dice: non ti lascerò andare fino a quando non mi avrai benedetto. E così avviene, l’uomo misterioso è in realtà un angelo o più probabilmente Dio stesso e benedice Giacobbe che si stupisce di avere visto Dio in volto e di essere rimasto in vita. Questo episodio enigmatico e misterioso, posto all’inizio dell’Antico Testamento, pone un tema che continuerà a tornare nei libri e nelle vicende seguenti: la lotta incessante dell’uomo con Dio. Questo atteggiamento di conflitto lo ritroviamo costantemente: l’uomo non comprende, non accetta la volontà di Dio, se ne lamenta, lo rimprovera, se ne allontana, ritorna, litiga, tratta, negozia, si ribella. Persino Gesù lo contesta: “Padre, perché mi hai abbandonato?”Anche la vita dei Santi è ricca di episodi in cui Dio viene messo in causa e noi stessi non manchiamo di chiedere: perché hai consentito questo, perché hai permesso quest’altro? Il vero atteggiamento di Fede non è dunque un’accettazione passiva e acritica della religione ma la ricerca di un rapporto personale, speciale, unico con Dio che non si limita a starsene sopra le nuvole in mezzo alle stelle ma scende sulla terra e camminare lotta insieme a noi e a volte contro di noi come è capitato a Giacobbe. L’atteggiamento di Fede nella Partenza è dunque lasciare spazio a questa relazione che per quanto complicata e difficile è sempre una relazione d’amore. Amare qualcuno, un’altra persona o Dio stesso, significa rimettere costantemente in discussione i propri e gli altrui atteggiamenti, le scelte, i sentimenti, gli sguardi, i battiti del cuore. Il contrario dell’amore non sono il dubbio, l’incertezza, la fatica bensì l’indifferenza. Prendere la Partenza non significa non avere dubbi sulle questioni di Fede ma non restare indifferenti ad una storia d’amore e di vita.
Osservare la legge scout
La Partenza, lo si è detto tante volte, implica delle scelte.
Ma le scelte non sono tutto. Le scelte sono infatti destinate ad essere inevitabilmente riformulate, rifocalizzate man mano che si avanza nella vita e che si affrontano nuovi problemi e situazioni.
Pensare il contrario oltre che irrealistico sarebbe immaginare che gli uomini siano fatti di marmo, fissi e immutabili e in definitiva insensibili al cambiamento delle stagioni e della vita.
C’è qualcosa invece che non dovrebbe cambiare mai da parte di chi prende la Partenza: l’impegno ad osservare la Promessa e la Legge scout. La Legge scout, infatti, esprime un ideale alto di uomo e di donna che non dovrebbe mai cessare di ispirare le nostre azioni per tutto il corso della nostra esistenza.
Sbagliano di grosso e hanno capito ben poco dello scautismo coloro che pensano che la Legge scout sia qualcosa che riguarda solo il periodo della vita in cui portiamo i pantaloncini e il fazzolettone al collo.
Gli impegni espressi dalla legge scout devono essere un marchio di fuoco impresso nell’anima, uno stile permanente, un modo di guardare agli altri e alla vita, una follia (ma un follia piena di intelligenza e di lungimiranza) del cuore, un sigillo da non abbandonare mai.
Prendere la Partenza non è dunque il momento in cui prendere congedo da questi impegni ma il momento privilegiato in cui riflettere su come renderli vivi, attualizzati e duraturi nelle cose che andremo a fare. In altre parole dobbiamo essere capaci di tradurre questi impegni da idee semplici che ci hanno accompagnato nella nostra adolescenza in strategie concrete di vita per l’età adulta.
E’ noto a tutti che la Legge scout non è una legge negativa, non pone quindi dei divieti ma tende ad ispirare in positivo il comportamento delle persone facendo appello alle nostre migliori risorse (la lealtà, l’amicizia, la voglia di meritare fiducia) per condurci a diventare uomini e donne significativi.
Osservare la legge scout tutta la vita è un ideale altissimo al quale possono ispirarsi tutti, quelli ricchi come quelli squattrinati, quelli colti come quelli illetterati, quelli a Sud come quelli a Nord….Non sono affatto impegni banali e in certi momenti sarà necessario dimostrare grande coraggio per mantenersi fedeli ad essi.
Alcune volte perché in un mondo che in cui sembrano prevalere i furbi e i prepotenti vi sembrerà di fare la figura degli ingenui e degli sprovveduti. Altre volte perché vi troverete in posizioni molto scomode e potreste essere chiamati a pagare un prezzo assai salato per mantenere integro il vostro onore scout e la vostra coscienza.
In quei momenti pensate che ci sono stati molti scout che hanno affrontato le medesime prove tenendo duro fino in fondo, guadagnando infine il rispetto dei loro stessi persecutori.
Qualcuno, specialmente nei periodi dei totalitarismi (che purtroppo possono sempre tornare) ha persino dato la vita. Don Minzoni, ad esempio, è stato una di queste persone. Rimanere fedeli alla legge scout che abbiamo promesso nell’alba della nostra vita di rispettare sempre, significa dire che quei sacrifici non sono stati inutili e che non intendiamo tradire quel bambino pieno di ideali che un tempo anche noi siamo stati.
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Giancarlo Lombardi
Poche persone, forse nessuno, hanno fatto più di Giancarlo Lombardi per lo Scautismo italiano nel secondo dopoguerra. Un Capo di grande personalità e autorevolezza ebbe un ruolo decisivo nella nascita dell’AGESCI. Le sue idee, il suo pensiero hanno largamente ispirato lo scautismo italiano per come lo conosciamo oggi.
Le poche righe che seguono sono il discorso tenuto in occasione della sua commemorazione in Senato e verranno presto integrate con alcune testimonianze di coloro che hanno collaborato con lui e gli sono stati amici di una vita.
Giancarlo Lombardi è stato Ministro della pubblica istruzione dal 1995 al 1996 con il Governo Dini. Fu anche deputato, eletto nella XIII legislatura nelle liste del Partito Popolare Italiano, e militò nella Margherita. Fu imprenditore, presidente di Federtessile, vice presidente di Confindustria con delega all’istruzione, membro di numerosi consigli di amministrazione di società, associazioni, enti, delle università LUISS e Cattolica e, da ultimo, del Collegio di Milano, che aveva contribuito a fondare.
Presentando se stesso si definiva innanzitutto uno scout; come diceva: «Lo scoutismo è la seconda cosa più importante della mia vita dopo la famiglia». Ha avuto tre figli, Andrea, Marco e Paolo, e una compagna di vita, Ninetta, di straordinaria finezza, sempre al suo fianco con coraggio e con il sorriso, anche nei momenti più difficili e bui della loro esistenza. Tra questi, la morte del figlio Andrea fu certamente il più tragico.
Dunque innanzitutto uno scout… Giancarlo Lombardi promosse e realizzò la fusione tra l’Associazione scout cattolica maschile (ASCI) e quella femminile (AGI), dando vita, nel 1974, all’Associazione guide e scout cattolici italiani (AGESCI). Una fusione che a quel tempo fece storcere il naso ad alcuni esponenti del mondo cattolico e delle gerarchie ecclesiali, suscitando critiche e riserve anche aspre. Giancarlo difese con fermezza quella scelta, rivendicando, in linea con il Concilio Vaticano II, la sfera di autonomia di laici e credenti: cristiani adulti. In realtà fu il coraggio di aprire una strada, di stare sulla frontiera e di contribuire a cambiare il costume della nostra società e il modo di essere dei laici nella Chiesa.
Fu anche presidente dell’AGESCI dal 1976 al 1982, anni in cui si assistette al raddoppio degli iscritti, che diventarono in breve quasi 200.000, a conferma della felicità della sua intuizione. Per molti anni svolse attività di formazione con i campi scuola nell’amatissima Val Codera, sopra Colico, luogo di selvaggia bellezza, teatro delle imprese delle Aquile randagie, quei gruppi di scout che avevano continuato le attività in forma clandestina durante gli anni del fascismo e che avevano accompagnato tanti ricercati, tanti ebrei, tanti perseguitati politici a riparare in Svizzera. Giancarlo è stato giustamente considerato il miglior erede e interprete di quell’esperienza di libertà e impegno.
Coniugare la serietà meticolosa negli impegni assunti e uno spirito libero, una visione utopistica e persino un po’ ribelle della vita è stata una delle caratteristiche che lo hanno fatto tanto amare da generazioni di giovani capi scout e non solo, che si sono formati alla sua scuola. Ha scritto sulla rivista «RS-Servire», di cui è stato per tanti anni direttore, a proposito del coraggio dell’utopia: «La parola “utopia” non significa affatto una cosa bella ma impossibile o peggio ancora un sogno irrealizzabile e irresponsabile, ma al contrario vuole indicare una meta da cercare e perseguire perché possibile, di un cammino forse difficile ma fattibile».
Dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Milano, si recò per un periodo di volontariato in Africa, dove conobbe e collaborò con Albert Schweitzer, il celebre medico alsaziano, premio Nobel per la pace, che aveva fondato a Lambaréné un centro per la cura della lebbra.
Tornato in Italia, andò dapprima a lavorare all’Olivetti e poi presso l’azienda di famiglia, la Filatura di Grignasco, che sviluppò e fece crescere fino a farla diventare un gruppo con oltre 1.500 dipendenti e 150 miliardi di lire di fatturato. Era considerato un imprenditore idealista, impegnato nella tutela dell’ambiente, nel rinnovamento dei settori di depurazione delle acque di lavorazione, delle relazioni industriali, dei rapporti con il personale, dell’introduzione dell’informatica di avanguardia. Soprattutto – e fu anche criticato per questo – egli metteva al centro il lavoratore, la sua dignità, il rafforzamento delle sue capacità e la sua formazione, individuando nel lavoro un fattore di promozione e sviluppo della persona.
Il contrasto alla dispersione scolastica e l’interrelazione tra studio e lavoro come chiave per la maturazione della persona sono stati anche al centro del suo progetto di riforma della scuola, alla cui preparazione dedicò grandi energie, passione e intelligenza, e che cominciò a realizzare durante l’esperienza ministeriale del Governo Dini. Con una scelta abbastanza inconsueta anche ai giorni nostri, rifiutò il posto di Ministro dell’università e della ricerca (a quel tempo distinto da quello della pubblica istruzione), offertogli nel Governo Prodi, perché non gli sembrava serio occupare un posto per il quale non si sentiva adeguatamente preparato. Egli visse con un sentimento di grande amarezza il non poter dare seguito a quella riforma scolastica per la quale si era tanto speso.
Oggi, però, molte delle sue intuizioni e idee si sono comunque affermate e rappresentano il meglio delle esperienze innovative che vengono sperimentate nel nostro Paese.
Giancarlo Lombardi è stato un uomo di grande cultura e vastissimi interessi e curiosità, ossessionato dal mettere qualità e attenzione anche nelle piccole cose (le piccole cose che a volte fanno il tutto) e nel cercare di vivere con grande rettitudine. In questo egli era esigente con sé, così come con gli altri, specialmente coloro ai quali voleva maggiormente bene.
Signor Presidente, ricordo che Giancarlo Lombardi venne a trovarmi poco tempo dopo l’inizio della legislatura e ci sedemmo nel corridoio dietro l’Aula, dove ci sono le poltroncine azzurre. Pensavo che volesse parlarmi di politica, invece era venuto per dirmi che non bisogna mai essere gretti, nemmeno con gli avversari politici, e per ammonirmi a non lasciarmi tentare dalle frivolezze della vita romana.
Giancarlo Lombardi è stato un grande amico della comunità di Bose e del suo fondatore, fratel Enzo Bianchi. Egli si interessava di ecumenismo e dialogo interreligioso, conosceva a fondo le opere di Karl Barth e amava citare Martin Buber. Soprattutto, egli amava Dietrich Bonhoeffer, il teologo tedesco protestante impiccato nel campo di Flossenbürg nell’aprile 1945. Ha scritto Bonhoeffer: «Non di geni, né di cinici, né di gente che disprezza gli uomini, né di tattici raffinati abbiamo bisogno, ma di uomini aperti, semplici, diritti. Ci sarà rimasta tanta forza di resistenza interiore (…), tanta spietata sincerità verso noi stessi da poter ritrovare la strada della semplicità e della rettitudine?» È più da furbi essere pessimisti: si dimenticano le delusioni, si sta in faccia alla gente senza compromettersi. Così l’ottimismo è passato di moda presso i furbi. Nella sua essenza l’ottimismo è una forza della speranza dove gli altri si sono rassegnati, la forza di tenere alta la testa anche quando tutto sembra fallire, la forza di reggere i colpi, la forza che non lascia mai il futuro all’avversario, ma lo reclama per sé. Si tratta di parole che Giancarlo ha citato tante volte e soprattutto testimoniato con la sua esistenza. Larger than life, direbbero gli anglosassoni, ossia più grande della vita. Questo è stato Giancarlo Lombardi, un uomo che ha tenuto fede alla promessa di lasciare il mondo un po’ migliore di come lo ha trovato.
Commemorazione di Giancarlo Lombardi in Senato
Storia di un'amicizia: Gege Ferrario e Giancarlo Lombardi
Achille Cartoccio
Achille Cartoccio è stato uno degli incontri più belli della mia vita: una straordinaria intelligenza unita ad una mitezza fuori dal comune e ad una grande passione per l’educazione. Se c’è un uomo che aiutava a pensare fuori dagli schemi e che rischiarava con dei pensieri alti e lucidi le riunioni di RS Servire questo era sempre Achille. Non ricordo di lui una sola frase fuori posto, un intervento che non si concludesse con un sorriso. Grazie Achille di questa tua vita piena che hai portato con grande coraggio e dignità facendo anche i conti per tantissimi anni con una malattia invalidante. Resterà il segno che hai tracciato sulle nostre vite indirizzandole al desiderio e al gusto del bello, del discernimento nella complessità, ad orientarle verso il bene.
Di intelligenza profonda e particolarmente arguta, Achille aveva una cultura poderosa e mai esibita. Come tutti i timidi era ironico e discreto, ma non si risparmiava quando era tirato in ballo. Generoso e mite, aveva un’aria un po’ da uccello curioso, che lo rendeva subito simpatico. E uno sguardo particolare, trasparente e indagatore. Una persona alla quale non potevi mentire. Profondamente scout era stato incaricato della Formazione Capi in AGESCI. Aveva passioni improbabili, dalla canzone ‘La guerra di Piero’ al monaco Pacomio. Le prese in giro degli amici non gli impedivano di andare dritto per la sua strada.
Amico fedele, come capo ha segnato la vita di molti, proprio perché aveva l’aria di non volerla segnare.
Vittorio Ghetti lo indica come una delle tre persone che hanno più influito sulla sua formazione. Uso le sue parole ”Il terzo uomo, A.C., non è per me un modello, ma un testimone, una prova vivente e la prova, in un uomo del suo spessore, ha uno straordinario potere di convincimento. I lunghi anni passati vicino ad A.C. nell’intimità di comuni progetti mi hanno consentito di apprezzare e, quindi, di essere certamente influenzato da tre aspetti della sua testimonianza. Anzitutto la lucidità del suo pensiero, la sua capacità di dipanare situazioni complicate e la sua paziente disponibilità ad ascoltare prima di proporre la sua opinione, spesso autenticamente creativa. Questa lucidità si manifesta abitualmente nei suoi scritti, nei suoi interventi e in fase di strutturazione di confronti di opinioni. E’ una forma mentale che frena la mia impulsività. Inoltre, la sua fede e il suo credo che mi sembrano andare al di là del semplice interrogativo :”Quale è il fine principale della vita?” (…) Da tutto il suo modo di essere infatti appare del tutto evidente che oltre al divino in cui certamente crede, ci sia l’umano in tutta la sua profondità. (…) A.C. non vive di solo cielo ma anche di autorealizzazione e di amore per i vicini e i lontani per i quali ha impostato il suo lavoro quotidiano. Un uomo umano che vive di speranza, si fonda sulla fede e trova nella carità il suo compimento. Infine A.C. educatore, che vede nella educazione e formazione il più efficace strumento di rinnovamento di cui la società ha oggi bisogno. (…)A lui mi sono spesso rivolto per avere aiuto, consigli e indirizzi di metodo e di contenuto. Sono stato contagiato dalla serietà delle sue analisi e attratto dal rigore dei suoi processi formativi. Ad A.C. devo almeno in parte la mia perseveranza nel credere nello scoutismo e la mia più recente scelta professionale”.
Parole dense di amicizia e di stima, come sarebbe bello se ciascuno di noi potesse avere nella vita un amico della qualità di Achille Cartoccio.
Chiara Biscaretti – di che colore è la mia speranza
Chiara Biscaretti: di che colore è la mia speranza
“Ciao bambino della Francesca che non sei ancora nato. Tutti qua ti aspettano e ti pensano, preparano per te tanti golfini e tanti progetti. Avrai la nurse tedesca, andrai a scuola di inglese, giocherai a calcio, suonerai il piano, sarai un bravo bambino, sarai ordinato, avrai tanti amici, sarai bello, aiuterai a casa, scriverai poesie. Stai attento mi raccomando. Il mondo ti darà esattamente quello che gli chiederai, né più né meno. Ricordato che dipenderà da te quello che “gli Altri” ti faranno. Guarda tutto. Chiedi tutto. Sappi scegliere. Ascolta tutti. Pensa con la tua testa. Studia, Leggi, Scrivi e FAI. Prova le cose nuove. Ma pensa prima di agire. Parla molto. Non avere paura del Silenzio. Ama la Vita, non avere paura della morte. Ma non fare il muso e non portare rancore anche se pensi di avere ragione (anche se hai ragione),non dimenticarti di ascoltare. Non avere paura di fare il primo passo, di rompere il ghiaccio, di rischiare, di giocarti. Non avere paura delle brutte figure, di quello che pensano gli altri. Rispetta le idee e le azioni di tutti. Anche se sono diverse e non ti piacciono.Ma non cambiare le tue per farti simile a loro. Sii cortese e fa ciò che agli altri fa piacere se puoi farlo senza calpestare te stesso. Se no parla. Non calpestarti e non lasciarti calpestare per nessuna ragione. O persona. Gli amici sono importanti, tu però lo sei di più. Non è una affermazione egoista. Fa qualunque per un amico. Se vuoi, se ti viene dal cuore. Abbi amici di tutte le età. Tutti possono darti e a tutti puoi dare. Stai con quante ragazze vuoi ma non giocare con l’amore. E’ troppo bello per sprecarlo. Ascolta se Dio ti chiama e parlagli se hai bisogno di aiuto”.
E’ una lettera di Chiara Biscaretti, Capo Clan del Milano 88 e redattrice di Camminiamo Insieme, indirizzata al bambino che una sua amica sta aspettando. Chiara è in ospedale. Pochi mesi prima ha dovuto interrompere il campo estivo per una febbre che la spossava. Scopre di avere la leucemia, una malattia simile a quella che ha portato via prima il suo papà e poi la sua mamma. Scrive un diario bellissimo in cui i temi della paura e della speranza si intrecciano alla capacità di emozionarsi ed appassionarsi per le cose che le succedono intorno, la vita dei suoi amici, quella della comunità di Taizé a cui è molto legata. Si spegne il 15 dicembre 1998.