Mentre scrivo queste righe Baghdad è sotto il bombardamento intensivo delle forze angloamericane. Giungono immagini atroci di violenze, mutilazioni, saccheggi. Sui giornali, in televisione, per strada fra la gente comune divampano le polemiche, la propaganda, la disinformazione, i contrasti fra esponenti di opposte visioni sul tema della forza e della pace, della legalità, della giustizia, dei rapporti tra occidente e oriente, tra Islam e Cristianesimo.
Baghdad, che un tempo fu Babele, non è solo un fatto di cronaca. E’ ancora una volta una metafora, un simbolo della nostra condizione di uomini all’inizio del terzo millennio: uomini che lottano fra di loro, che parlano lingue (culture, religioni, aspirazioni) diverse, che cercando di costruire un nuovo ordine (una grande torre) pongono le premesse per un nuovo crollo.
Il libro della Genesi racconta della costruzione della città e della torre di Babele che gli uomini vollero costruire subito dopo il diluvio universale: essa avrebbe dovuto essere così alta che la sua cima doveva toccare il cielo. Lo scopo di questa impresa non era solo quello di salvare gli uomini da un nuovo diluvio ma anche quello di “darsi un nome e di non disperdersi su tutta la terra“. Al Signore non piacque questo progetto e decise di confondere la loro lingua perché non si comprendessero. Ciò avvenne, essi si dispersero e cessarono di costruire la città.
Questo racconto, benché assai noto, è in parte assai sconcertante e misterioso. Non è chiaro, ad esempio, perché la torre dovesse toccare il cielo; non è chiaro perché il Buon Dio vedesse con tanto sfavore un’opera tutto sommato meritoria; non è chiaro perché Egli decida di disperdere gli uomini sulla terra.
A tutte queste domande ha tentato di dare una risposta il celebre pittore fiammingo Peter Bruegel autore del famoso dipinto “La grande torre di Babele“. Nell’interpretazione medievale della Bibbia la leggenda di Babele stava sostanzialmente a significare la punizione divina per un atto di orgoglio insensato e di superbia. Bruegel mostra da un lato che l’impresa grandiosa è concretamente possibile; in pari tempo ne evidenzia l’impossibilità.
La torre di Bruegel appare infatti a prima vista estremamente solida: la base su cui poggia è larga, una formazione rocciosa ne costituisce il nucleo le cui dimensioni ciclopiche fanno apparire al confronto minuscole le case della città circostante e con il brulichio di innumerevoli piccole figure.
Ad uno sguardo più attento salta agli occhi non soltanto la mancanza di metodo con cui procedono i lavori (la compresenza di parti già finite e ancora incomplete alla base) ma anche la irrealizzabilità del progetto. Bruegel trae ispirazione dalla forma e dall’idea costruttiva del Colosseo di Roma (il teatro delle persecuzioni dei cristiani) presentando però la proiezione della costruzione rivolta verso l’interno. Così i corridoi ascendenti conducono tutti verso il centro della torre, rivelandosi insensati nella loro funzione.
A ciò si aggiunge un’ulteriore incongruenza costruttiva: la suddivisione in piani nei corridoi radiali contrasta con la struttura ascendente a chiocciola del manto. Tutte le verticali sono in relazione con le linee apparentemente orizzontali della rampa, per cui la torre pende.
La costruzione è descritta, dunque, di proposito come impossibile e quindi interminabile ma il segreto si svela soltanto a poco a poco perché l’osservatore è ingannato in un primo momento dai molti dettagli razionali che ispirano fiducia perché si rifanno ai modelli romani. Il dipinto di Bruegel va al di là della sua originaria simbologia della superbia umana e si fa simbolo del fallimento della mera razionalità.
Il sentimento di sgomento e di disorientamento di fronte ai grandi progetti, alle città ideali eppure invivibili, ai sistemi totalizzanti e totalitari non appartiene solo al passato e molti artisti moderni hanno scelto proprio la torre di Babele per esprimere il senso di insostenibilità che tali sistemi hanno sulle nostre vite. Eppure nuove costruzioni e nuovi agglomerati si affastellano continuamente dinanzi a noi. E’ davvero impossibile costruire una città a misura d’uomo?