Libertà
I have a dream
Oggi sono felice di essere con voi in quella che nella storia sarà ricordata come la più grande manifestazione per la libertà nella storia del nostro Paese.
Un secolo fa, un grande americano, che oggi getta su di noi la sua ombra simbolica, firmò il Proclama dell’emancipazione.
Si trattava di una legge epocale, che accese un grande faro di speranza per milioni di schiavi neri, marchiati dal fuoco di una bruciante ingiustizia. Il proclama giunse come un’aurora di gioia, che metteva fine alla lunga notte della loro cattività.
Ma oggi, e sono passati cento anni, i neri non sono ancora liberi.
Sono passati cento anni, e la vita dei neri è ancora paralizzata dalle pastoie della segregazione e dalle catene della discriminazione.
Sono passati cento anni, e i neri vivono in un’isola solitaria di povertà, in mezzo a un immenso oceano di benessere materiale. Sono passati cento anni, e i neri ancora languiscono negli angoli della società americana, si ritrovano esuli nella propria terra. Quindi oggi siamo venuti qui per tratteggiare a tinte forti una situazione vergognosa. In un certo senso, siamo venuti nella capitale del nostro paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della nostra repubblica hanno scritto le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione d’indipendenza, hanno firmato un “pagherò” di cui ciascun americano era destinato a ereditare la titolarità. Il “pagherò” conteneva la promessa che a tutti gli uomini, sì, ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti questi diritti inalienabili: “Vita, libertà e ricerca della felicità”.
Oggi appare evidente che per quanto riguarda i cittadini americani di colore, l’America ha mancato di onorare il suo impegno debitorio. Invece di adempiere a questo sacro dovere, l’America ha dato al popolo nero un assegno a vuoto, un assegno che é tornato indietro, con la scritta “copertura insufficiente”.
Ma noi ci rifiutiamo di credere che la banca della giustizia sia in fallimento.
Ci rifiutiamo di credere che nei grandi caveau di opportunità di questo paese non vi siano fondi sufficienti. E quindi siamo venuti a incassarlo, questo assegno, l’assegno che offre, a chi le richiede, la ricchezza della libertà e la garanzia della giustizia. Siamo venuti in questo luogo consacrato anche per ricordare all’America l’infuocata urgenza dell’oggi. Quest’ora non è fatta per abbandonarsi al lusso di prendersela calma o di assumere la droga tranquillante del gradualismo.
Adesso è il momento di tradurre in realtà le promesse della democrazia.
Adesso è il momento di risollevarci dalla valle buia e desolata della segregazione fino al sentiero soleggiato della giustizia razziale. Adesso è il momento di sollevare la nostra nazione dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale per collocarla sulla roccia compatta della fraternità. Adesso è il momento di tradurre la giustizia in una realtà per tutti i figli di Dio.
Se la nazione non cogliesse l’urgenza del presente, le conseguenze sarebbero funeste.
L’afosa estate della legittima insoddisfazione dei negri non finirà finché non saremo entrati nel frizzante autunno della libertà e dell’uguaglianza. Il 1963 non è una fine, è un principio. Se la nazione tornerà all’ordinaria amministrazione come se niente fosse accaduto, chi sperava che i neri avessero solo bisogno di sfogarsi un pò e poi se ne sarebbero rimasti tranquilli rischia di avere una brutta sorpresa. In America non ci sarà né riposo né pace finché i neri non vedranno garantiti i loro diritti di cittadinanza. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione finché non spunterà il giorno luminoso della giustizia. Ma c’è qualcosa che devo dire al mio popolo, fermo su una soglia rischiosa, alle porte del palazzo della giustizia: durante il processo che ci porterà a ottenere il posto che ci spetta di diritto, non dobbiamo commettere torti. Non cerchiamo di placare la sete di libertà bevendo alla coppa del rancore e dell’odio. Dobbiamo sempre condurre la nostra lotta su un piano elevato di dignità e disciplina. Non dobbiamo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica.
Sempre, e ancora e ancora, dobbiamo innalzarci fino alle vette maestose in cui la forza fisica s’incontra con la forza dell’anima. Il nuovo e meraviglioso clima di combattività di cui oggi è impregnata l’intera comunità nera non deve indurci a diffidare di tutti i bianchi, perché molti nostri fratelli bianchi, come attesta oggi la loro presenza qui, hanno capito che il loro destino è legato al nostro.
Hanno capito che la loro libertà si lega con un nodo inestricabile alla nostra. Non possiamo camminare da soli. E mentre camminiamo, dobbiamo impegnarci con un giuramento: di proseguire sempre avanti. Non possiamo voltarci indietro. C’è chi domanda ai seguaci dei diritti civili: “Quando sarete soddisfatti?”. Non potremo mai essere soddisfatti, finché i neri continueranno a subire gli indescrivibili orrori della brutalità poliziesca. Non potremo mai essere soddisfatti, finché non riusciremo a trovare alloggio nei motel delle autostrade e negli alberghi delle città, per dare riposo al nostro corpo affaticato dal viaggio.
Non potremo mai essere soddisfatti, finché tutta la facoltà di movimento dei neri resterà limitata alla possibilità di trasferirsi da un piccolo ghetto a uno più grande. Non potremo mai essere soddisfatti, finché i nostri figli continueranno a essere spogliati dell’identità e derubati della dignità dai cartelli su cui sta scritto “Riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti, finché i neri del Mississippi non potranno votare e i neri di New York crederanno di non avere niente per cui votare.
No, no, non siamo soddisfatti e non saremo mai soddisfatti, finché la giustizia non scorrerà come l’acqua, e la rettitudine come un fiume in piena.
Io non dimentico che alcuni fra voi sono venuti qui dopo grandi prove e tribolazioni. Alcuni di voi hanno lasciato da poco anguste celle di prigione. Alcuni di voi sono venuti da zone dove ricercando la libertà sono stati colpiti dalle tempeste della persecuzione e travolti dai venti della brutalità poliziesca. Siete i reduci della sofferenza creativa. Continuate il vostro lavoro, nella fede che la sofferenza immeritata ha per frutto la redenzione. Tornate nel Mississippi, tornate nell’Alabama, tornate nella Carolina del Sud, tornate in Georgia, tornate in Louisiana, tornate alle baraccopoli e ai ghetti delle nostre città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare e cambierà. Non indugiamo nella valle della disperazione.
Oggi, amici miei, vi dico: anche se dobbiamo affrontare le difficoltà di oggi e di domani, io continuo ad avere un sogno.
E un sogno che ha radici profonde nel sogno americano.
Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali. Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternità.
Ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, dove si patisce il caldo afoso dell’ingiustizia, il caldo afoso dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e di giustizia. Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l’essenza della loro personalità. Oggi ho un sogno.
Ho un sogno, che un giorno, laggiù nell’Alabama, dove i razzisti sono più che mai accaniti, dove il governatore non parla d’altro che di potere di compromesso interlocutorio e di nullification delle leggi federali, un giorno, proprio là nell’Alabama, i bambini neri e le bambine nere potranno prendere per mano bambini bianchi e bambine bianche, come fratelli e sorelle.
Oggi ho un sogno.
Ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà innalzata, ogni monte e ogni collina saranno abbassati, i luoghi scoscesi diventeranno piani, e i luoghi tortuosi diventeranno diritti, e la gloria del Signore sarà rivelata, e tutte le creature la vedranno insieme.
Questa è la nostra speranza.
Questa è la fede che porterò con me tornando nel Sud. Con questa fede potremo cavare dalla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede potremo trasformare le stridenti discordanze della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fraternità.
Con questa fede potremo lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in prigione insieme, schierarci insieme per la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi.
Quel giorno verrà, quel giorno verrà quando tutti i figli di Dio potranno cantare con un significato nuovo:
“Patria mia, é di te, dolce terra di libertà, é di te che io canto. Terra dove sono morti i miei padri, terra dell’orgoglio dei Pellegrini, da ogni vetta riecheggi libertà”.
E se l’America vuol essere una grande nazione, bisogna che questo diventi vero. E dunque, che la libertà riecheggi dalle straordinarie colline del New Hampshire. Che la libertà riecheggi dalle possenti montagne di New York.
Che la libertà riecheggi dagli elevati Allegheny della Pennsylvania.
Che la libertà riecheggi dalle innevate Montagne Rocciose del Colorado.
Che la libertà riecheggi dai pendii sinuosi della California. Ma non soltanto.
Che la libertà riecheggi dalla Stone Mountain della Georgia.
Che la libertà riecheggi dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Che la libertà riecheggi da ogni collina e da ogni formicaio del Mississippi, da ogni vetta, che riecheggi la libertà.
E quando questo avverrà, quando faremo riecheggiare la libertà, quando la lasceremo riecheggiare da ogni villaggio e da ogni Paese, da ogni stato e da ogni città, saremo riusciti ad avvicinare quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, potranno prendersi per mano e cantare le parole dell’antico inno: “Liberi finalmente, liberi finalmente. Grazie a Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente”.
Martin Luther King
I have a Dream è un discorso pubblico pronunciato durante la March on Washington for Jobs and Freedom al Lincoln Memorial il 28 agosto 1963. Un discorso celeberrimo in occasione dei cento dal Proclama di emancipazione dei neri con il quale Abramo Lincoln aveva abolito la schiavitù negli Stati Uniti.
Sono trascorsi altri 50 e passa anni ma non c’è ancora parità di diritti, né piena libertà, né piena uguaglianza, né finer dei pregiudizi e del razzismo e le parole di Martin Luther King non hanno ancora perso nulla della loro straordinaria attualità e forza.
Peter nel ghetto
La storia è questa: Siamo nel 1942 nel ghetto di Praga. Come sapete il ghetto è stato chiuso dai nazisti e gli ebrei sono in procinto di partire per Auschwitz. Mancano pochi giorni alla definitiva liquidazione ma funzionano ancora i telefoni perché i tedeschi si sono dimenticati di staccare i fili.
C’è un bambino solo (il suo nome è Peter?) che per ingannare l’attesa telefona ad una coppia anziana il cui nome tradotto dal Boemo sarebbe “famiglia Gallo”. Il marito è sempre a letto infermo mentre la moglie va in giro a cercare qualcosa da mangiare. Quindi è sempre l’anziano signore che risponde al telefono. “Pronto?” chiede Peter . “Pronto!” “E’ la famiglia Gallo?“. “Si“. “Lei è il Gallo?” “Si“. “Ma non c’è la Gallina?“. Lo scherzo va avanti per diversi giorni. Il vecchietto fa amicizia con questo bambino, aspetta la telefonata che gli rallegra un po’ la giornata. “Pronto c’è la gallina?” “Ma no la gallina è andata nel ghetto a cercare qualche uovo…” Perché la gallina non lo fa l’uovo?” e la conversazione continua passando ad altri argomenti.
Liquidazione del Ghetto. Tutti gli Ebrei vanno ad Auschwitz e nel 1945 questo bambino torna a casa salvo, ormai adulto perché ad Auschwitz non c’è posto per l’infanzia. Nel 1948 torna nel suo appartamento a Praga. Ha ormai perso tutto: genitori amici parenti ma trova da qualche parte il numero di telefono della famiglia Gallo. Tenta: fa il numero e sente che di là c’è qualcuno: dopo cinque o sei squilli risponde una voce maschile, irriconoscibile per degli estranei, ma non per lui perché è proprio quella del suo anziano amico! “Pronto è la famiglia Gallo” “Si” “E’ il Gallo?” Si chi parla?” “Ma c’è la gallina?” ” Ah, sei tu! Aspettavo questa telefonata! La gallina non c’è: E’ morta in una camera a gas ad Auschwitz, però prima di morire ti ha fatto un regalo: ha fatto l’uovo. Vienimi a trovare così lo mangiamo insieme!“
E anch’io affido a voi questo sentimento fragile e resistente come un uovo, questo sentimento dell’infanzia e della gioventù ribelle, che non cada prigioniero per sempre dei pirati e delle camere a gas, delle ragioni di stato (e delle “Ragioni” in generale), che si preservi in tutti noi, come in Peter, la voglia di ridere e creare.
Chicchirichì!
Il potere della propaganda
Albert Speer , uno dei più stretti collaboratori di Hitler, descrisse in questi termini i metodi utilizzati dal dittatore tedesco per giungere al potere “ La dittatura di Hitler, differiva per un aspetto sostanziale da ogni altra dittatura. Fu la prima nel nostro periodo di moderna evoluzione tecnica e quindi si servì di tutti i mezzi tecnici disponibili per la dominazione del Paese. Strumenti tecnici quali la radio e l’altoparlante servirono a togliere il pensiero indipendente a ottanta milioni di individui. Fu così possibile assoggettarli alla volontà di un solo uomo. I dittatori del passato avevano bisogno di collaboratori qualificatissimi anche a livello minimo. Ma nel nostro periodo di evoluzione tecnica moderna si può anche fare a meno di questi uomini; grazie ai metodi di comunicazione moderni è possibile meccanizzare la direzione a basso livello. In questo modo si è potuto formare un dirigente di tipo nuovo; quello che riceve acriticamente gli ordini”. Anni dopo Huxley commentava le affermazioni di Speer con le seguenti parole: “ Dai tempi di Hitler gran mole di lavoro si è svolto in quei campi della psicologia e della neurologia applicata, che sono settore specifico del propagandista. In passato gli specialisti nell’arte di cambiare il cervello del prossimo erano degli empirici. Provando e riprovando essi elaborarono una serie di nuove tecniche, di nuove procedure e le impiegarono con ottimi risultati senza sapere il perché della loro efficacia. Oggi l’arte del controllo dei cervelli sta diventando una scienza. E chi pratica tale scienza sa quel che sta facendo e perché; ha per guida teorie e ipotesi ben fondate su massicce prove sperimentali. Grazie alle nuove teorie e alle nuove tecniche che le teorie rendono possibili, quell’incubo non realizzato sotto Hitler può diventare realizzabilissimo” (A. Huxley, “Il Ritorno al Mondo Nuovo” , 1953 ed. Mondadori). Non c’è bisogno di sottolineare che nei cinquant’anni trascorsi da quando queste osservazioni furono pubblicate i “progressi” effettuati dagli studi e dalle tecniche di persuasione (anche occulta) sono tali e si sono così diffusi (dall’informazione commerciale a quella politica) da rappresentare una vera sfida alla nostra libertà di convincimento e di scelta. Siamo davvero liberi di scegliere?
La questione non è solo filosofica perché si moltiplicano i timori che la diffusione di fake news sui social media possano oggi essere uno strumento di manipolazione delle nostre conoscenze e intelligenze. In altre parole un mezzo per consentire a nuovi aspiranti dittatori di ottenere il potere. La riflessione su questo argomento prosegue nel prossimo articolo.
social media e propaganda
La propaganda al tempo dei social media Alcune domande piccole piccole (però importanti). Discutiamone
Sono trascorsi quasi cento da quando vennero sperimentati per la prima volta gli strumenti e le tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica che, come disse Albert Speer (si veda questo articolo) hanno consentito a politici spregiudicati di giungere al potere e di ottenere la “dominazione del Paese” e a “togliere il pensiero indipendente” ai cittadini. All’epoca tali strumenti erano la radio e l’altoparlante (oltre che una certa disponibilità di tante persone di rispondere acriticamente agli ordini). Quali sono oggi gli strumenti disponibili? Certamente la televisione e il cinema sono stati determinanti nei decenni passati ma…
- qual è oggi il ruolo dei social media (Facebook, Twitter, Instagram, YouTube, Snapchat…) di coloro che elaborano gli algoritmi alla base del funzionamento dei i vari motori di ricerca come Google… nell’orientamento delle scelte politiche?
- E’ vero che i social media sono stati in grado di orientare il risultato delle elezioni americane che hanno eletto Trump nel 2016 e del referendum sulla Brexit?
- Hanno influito sulla politica italiana?
- Hanno avuto impatto sull’atteggiamento verso teorie prive di valore scientifico come la cosiddetta cura Stamina e in merito ai rischi dei vaccini?
- Come hanno influito sull’atteggiamento verso i migranti?
- qual è il ruolo e la responsabilità dei gestori di queste grandi reti (Zuckerberg, Larry Page e Sergey Brin…?)
- e quello degli hackers?
- Esiste un gruppo di potere occulto in grado di orchestrare e manipolare su larga scala le informazioni che vengono diffuse sulla rete? chi opera tramite i BOT?
- Come riconoscere e difendersi dalle Fake news?
- Cosa è il Deepfake?
- Come reagire o difendersi dagli haters (gli odiatori) che pullulano sulla rete?
Sono domande inquietanti ma necessarie per capire fino a che punto l’ampliamento delle fonti di informazione (non più filtrate da operatori professionali come ad esempio sono i giornalisti che assumono la responsabilità per ciò che scrivono) sia un beneficio e un arricchimento per i cittadini o una forma molto subdola di condizionamento irresponsabile. Alla fin fine la domanda rimane ancora quella classica: fino a che punto siamo liberi di scegliere?
Piste di approfondimento
Articoli sul web
Agenda digitale – Disinformazione politica sui social, così la propaganda li manipola nel mondo, un contributo di Federica Maria Rita Livelli
Dal 2017 a oggi, la manipolazione dei social network è più che raddoppiata, secondo un nuovo rapporto. Ecco gli strumenti usati per diffondere fake news, come si costruisce una campagna di disinformazione.
Openpolis – La propaganda social e la difficile definizione di politica
lavoce.info – Covid e disinformazione, istruzioni per l’uso
Alla pandemia da Covid-19 rischia di accompagnarsi la diffusione di un altro virus: quello della disinformazione, dalle “semplici” fake news alle vere e proprie campagne pianificate da governi e partiti stranieri. L’allarme di Copasir, AgCom e Ue.
lavoce.info Sulla pelle dei rifugiati una nuova vittoria della propaganda
I tagli alle risorse per l’accoglienza dei rifugiati e il pacchetto sicurezza finiranno per far aumentare disordine e illegalità. Perché salirà il numero delle persone a cui verrà negato asilo, ma non quello delle espulsioni, nonostante i proclami
lavoce.info Sentimenti anti-stranieri: il potere della propaganda
TED: Facebook e la Brexit: e le minacce alla democrazia
In un discorso imperdibile, la giornalista Carole Cadwalladr ripercorre uno degli eventi più sconcertanti degli ultimi tempi: il voto del Regno Unito del 2016 per lasciare l’Unione Europea. Rintracciando il risultato sulla Brexit dovuto a una raffica d’ingannevoli post pubblicitari di Facebook rivolti agli elettori più vulnerabili — e collegando gli stessi protagonisti e le stesse strategie all’elezione presidenziale statunitense del 2016 — Cadwalladr si rivolge agli “dèi della Silicon Valley” che sono dalla parte sbagliata della storia, chiedendo loro: elezioni libere e giuste sono solo un ricordo del passato?
TED: Caro Facebook, ecco come stai violando la nostra democrazia
Libri:
Fabio Martini, La fabbrica della verità. L’Italia immaginaria della propaganda da Mussolini a Grillo. Ed. Marsilio (2017)
Da sempre per la politica sfruttare i media a proprio vantaggio è una tentazione irresistibile. Se Mussolini è stato tra i primi a ricercare il consenso attuando una persuasione sistematica, a seguirne le orme sono stati in molti. Fabio Martini ricostruisce in questo libro la storia della propaganda mirata a conquistare l’immaginario degli italiani e diffusa attraverso i film, i cinegiornali, la televisione, la pubblicità, il web. Nel farlo, mette in luce metodi ed espedienti delle diverse epoche (recensione Amazon).
Nazzareno Tirino, Cambridge Analytica. Il potere segreto, la gestione del consenso e la fine della propaganda, ed. Libellula (2019)
l caso Cambridge Analytica ha portato con sé la valutazione globale dell’impatto dei social network nelle campagne politiche. Forse qualcuno è già in grado di conoscerci meglio dei nostri partner analizzando la nostra attività online? Strutturare una campagna elettorale conoscendo le paure di ogni elettore permette di bilanciare buone notizie e cattive notizie (good/bad news) come mai avvenuto. Come si può limitare il controllo? (dalla presentazione Amazon)
NETFLIX
The social dilemma
Film!
The Social Network:
un film sulle origini di Facebook con una sceneggiatura del grande Aron Sorkin (2010)
“Gold – La grande truffa” regia di Stephen Gaghan (2016)
“The insider- Dietro la verità” regia di Michael Mann (1999)
“Odio Universale” ‘Black Mirror ep.6 stag.3 (2016)
“Barriera invisibile” regia di Elia Kazan (1947)
“L’inventore di favole” regia di Billy Ray (2003)
“Press – storie di false verità” regia di Paolo Bertino e Alessandro Isetta (2015)
“Diritto di cronaca” regia di Sydney Pollack (1982)
Farenheit 451
Nonostante l’obbligo di essere felici, Montag, uno dei pompieri più scrupolosi nella caccia ai libri si rende conto di vivere un’esistenza alienata e di disagio. Inizia un percorso tormentato di conversione che lo porterà, tramite l’amore per una donna, a cercare rifugio tra gli uomini-libro, ribelli che vivono nascosti imparando a memoria un libro da tramandare ai posteri. “Ognuno deve lasciarsi qualcosa dietro quando muore, diceva sempre mio nonno: un bimbo o un libro o un quadro o una casa o un muro eretto con le proprie mani o un paio di scarpe cucite da noi. O un giardino piantato con il nostro sudore. Qualche cosa insomma che la nostra mano abbia toccato in modo che la nostra anima abbia dove andare quando moriamo e quando la gente guarderà l’albero o il fiore che abbiamo piantato noi saremo là.Non ha importanza quello che si fa, diceva mio nonno, purché si cambi qualcosa da ciò che era prima in qualcos’altro che porti la nostra impronta. La differenza tra l’uomo che si limita a tosare un prato e un vero giardiniere sta nel tocco diceva. Quello che sega il fieno poteva anche non esserci stato, su quel prato; ma il vero giardiniere vi resterà tutta la vita”.
“Un libro è un fucile carico in casa del tuo vicino. Diamolo alle fiamme! Gli esseri umani vogliono la felicità… se non vuoi un uomo infelice non presentargli mai due aspetti di un problema. Dagliene uno solo, meglio ancora: non proporgliene nessuno.”
Ray Bradbury
Nel Ghiaccio: Amundsen e Scott
“Sei stato cullato nelle consuetudini
Ti hanno imbeccato con le prediche
Ti hanno tutto imbevuto e infradiciato di convenzionalismo
Ti hanno posto in vetrina perché fai onore ai loro insegnamenti
Ma non odi il richiamo del Wild?
Sta chiamando te”
R.W. Service
La grande corsa verso il sud. All’epoca in cui B.-P. scriveva “Scautismo per ragazzi” i più audaci esploratori si sfidavano in Antartide nel tentativo di giungere primi ai Poli. Una sfida non solo di coraggio e di tecnologie ma anche di filosofie di vita, di personalità, di visione dei rapporti fra gli uomini. Numerosi ne furono i protagonisti ciascuno dei quali meriterebbe di veder ampiamente raccontata la propria avventura. Fra i tanti : Nansen, che fu esploratore del circolo polare artico, scienziato, uomo politico e persino premio Nobel per la Pace . Il norvegese Amundsen, ovviamente, che giunse primo al Polo Sud cogliendo di sorpresa tutti quanti (lo credevano diretto al Polo Nord) () e che fece della risolutezza e della capacità di concentrarsi sull’obiettivo principale la sua arma vincente. L’inglese Robert Scott, predestinato ufficiale alla vittoria e che invece, stremato dal gelo, andò incontro alla morte coi i suoi compagni. Il suo diario, trovato nel ghiaccio anni dopo, contiene alcune delle pagine più commuoventi sulla nobiltà degli esseri umani e la capacità di sacrificarsi per gli altri che siano mai stati scritti.
E’ la testimonianza di uomini che ebbero un grande sogno, quello di giungere per primi dove mai nessun atro uomo era arrivato: Uomini che hanno lottato con tutte le loro forze e la loro intelligenza per raggiungere la meta affrontando difficoltà indicibili, il grande freddo, la fatica, le malattie, le privazioni. Gente, nella maggior parte dei casi, di origine modesta che cercava nell’impresa un’occasione per riscattare se stessa e la propria famiglia dalla misera. Gente al tempo stesso di classe, capace di dare spazio alla nobiltà dei gesti e dei sentimenti anche quando tutto sembrava giustificare qualche sgomitata. Uomini che giunti finalmente al Polo Sud hanno assaporato il gusto amaro della beffa e della sconfitta: la bandiera del norvegese Amundsen già piantata da qualche giorno nel ghiaccio. La Storia di Scott e dei suoi compagni trova a questo punto una delle sue pagine più toccanti: benché sfibrati, demoralizzati, sconfitti quegli uomini seppero comportarsi ancora con grande coraggio e lealtà gli uni verso gli altri fino al punto di sacrificare la propria vita per non intralciare con la propria stanchezza e malattia il cammino degli altri. Il capitano Oates, per esempio, dopo aver sopportato dolori atroci per settimane senza un lamento, avendo compreso di non poter continuare, saluta i compagni nella tenda dicendo con estremo pudore: “Esco e forse starò via qualche tempo”. Fuori imperversava da giorni una tempesta polare. Scott annotò nei suoi diari: “Sapevamo che Oates andava incontro alla morte, ma pur avendo tentato di dissuaderlo eravamo consci che il suo era il gesto di uomo coraggioso e di un gentiluomo inglese. Speriamo tutti di affrontare la nostra fine con lo stesso spirito e certo la fine non è lontana”. Il corpo di Oates non venne mai ritrovato. Quello dei suoi sfortunati compagni, morti alcuni giorni dopo per il freddo, fu ritrovato negli anni successivi a pochissimi chilometri da un deposito viveri che, se raggiunto, li avrebbe salvati. Non è una storia a lieto fine ma a volte proprio nelle sconfitte un uomo mostra la sua grandezza. Il comandante Scott e i suoi uomini lo fecero.
Berlino e Betlemme, le città del muro
Alcune teorie politiche e sociali che ambivano di poter governare e risolvere in modo definitivo i problemi e le contraddizioni della storia umana con una rigida pianificazione dell’economia e dei processi produttivi non hanno dato i risultati che i loro promotori speravano (anzi che davano per ineluttabili) e le gigantesche sofferenze sociali ed umane che tali progetti hanno comportato hanno ben giustificato la foga con la quale, nel 1989, i berlinesi hanno abbattuto il muro.
Quel muro era il simbolo di una razionalità spietata che diventava ferocia e disumanità e nel dargli un colpo di piccone tutti noi ci siamo sentiti orgogliosi e consapevoli del significato della famosa frase di John Kennedy “Ich bin Berliner” (io sono un berlinese)(). Abbattere quel muro, essere dunque berlinesi ha significato per molti affermare in qualche modo la volontà di abbattere tutti i muri di odio nel mondo ().
Il nostro tempo è però caratterizzato anche da fallimenti, da promesse mancate della scienza e della tecnologia (lo Shuttle che esplode, l’incapacità di curare vecchie e nuove malattie) crisi economiche che gettano senza preavviso nella miseria intere popolazioni.
Dietro ragionamenti apparentemente lucidi si nasconde spesso qualche follia (il terrorismo, ad esempio). Sempre più spesso si possono ascoltare persone apparentemente di buon senso che con ricche e dotte argomentazioni vi spiegano che per risolvere i problemi della vita l’unica soluzione è …..la morte ().
E’ stato detto che il sonno della ragione genera mostri. Ma anche la ragione senza sentimenti, amicizia, affetti, solidarietà, comprensione, tolleranza può diventare disumana. Non a caso la ghigliottina non ha mai lavorato tanto come nell’epoca dei lumi.
Ma se la razionalità pura (quella con la “R” maiuscola, assoluta, scientifica, inflessibile, inflessibilmente programmatice, che non vede né uomo né Dio al di fuori di se stessa), il Pensiero Unico, la Dea Ragione, portano alle visioni rigidamente ideologiche, alle teorie disumanizzanti, alle pratiche dei campi di concentramento, ai ghetti di Soweto nei pressi Johannesburg, in altre parole alla catastrofe della torre () non per questo dobbiamo rassegnarci alla mancanza di ragionevolezza nel nostro agire.
La capacità di riflettere, di dubitare, di mettere in discussione le cose che abbiamo imparato, in altre parole la capacità di ragionare sono un patrimonio e un valore che ciascuno porta con sé e che ci differenziano da qualunque altro animale. Descartes ha affermato “Cogito ergo sum” (penso dunque sono) affermazione piuttosto radicale ma che mi sentirei di sottoscrivere se essa significasse anche: “poiché sono un uomo, sono in grado (devo, ho la responsabilità ) di ragionare”.
Guardiamo quindi al mondo con curiosità critica, con simpatia, desiderosi di comprendere ma non di farci incantare, con la libertà interiore di chi sa farsi stupire ma non intende lasciarsi ipnotizzare.
Per chi ha voglia di approfondire:
La libertà nell’educazione e la formazione di una propria coscienza
Non sono stati solo i sistemi totalitari caduti col muro di Berlino a cercare di imbrigliare il cuore e le menti delle persone e delle generazioni più giovani in particolare. Il rischio è immanente in tutti i sistemi, anche quelli formalmente più democratici e liberali. Infatti le relazioni di potere sono spesso invisibili, sono costruite sul senso di colpa che spesso viene spacciato per senso del dovere. I sistemi educativi, in particolare, sono stati spesso lo strumento attraverso i quali si è cercato di uniformare il modo di pensare e di agire delle persone rendendoli null’altro che another brick in the wall, un altro mattone nel muro…
Dobbiamo ringraziare i Pink Floyd per una magnifica canzone e un video che valgono sull’argomento più di mille parole.