Mestiere di diventare grandi
Peter nel ghetto
La storia è questa: Siamo nel 1942 nel ghetto di Praga. Come sapete il ghetto è stato chiuso dai nazisti e gli ebrei sono in procinto di partire per Auschwitz. Mancano pochi giorni alla definitiva liquidazione ma funzionano ancora i telefoni perché i tedeschi si sono dimenticati di staccare i fili.
C’è un bambino solo (il suo nome è Peter?) che per ingannare l’attesa telefona ad una coppia anziana il cui nome tradotto dal Boemo sarebbe “famiglia Gallo”. Il marito è sempre a letto infermo mentre la moglie va in giro a cercare qualcosa da mangiare. Quindi è sempre l’anziano signore che risponde al telefono. “Pronto?” chiede Peter . “Pronto!” “E’ la famiglia Gallo?“. “Si“. “Lei è il Gallo?” “Si“. “Ma non c’è la Gallina?“. Lo scherzo va avanti per diversi giorni. Il vecchietto fa amicizia con questo bambino, aspetta la telefonata che gli rallegra un po’ la giornata. “Pronto c’è la gallina?” “Ma no la gallina è andata nel ghetto a cercare qualche uovo…” Perché la gallina non lo fa l’uovo?” e la conversazione continua passando ad altri argomenti.
Liquidazione del Ghetto. Tutti gli Ebrei vanno ad Auschwitz e nel 1945 questo bambino torna a casa salvo, ormai adulto perché ad Auschwitz non c’è posto per l’infanzia. Nel 1948 torna nel suo appartamento a Praga. Ha ormai perso tutto: genitori amici parenti ma trova da qualche parte il numero di telefono della famiglia Gallo. Tenta: fa il numero e sente che di là c’è qualcuno: dopo cinque o sei squilli risponde una voce maschile, irriconoscibile per degli estranei, ma non per lui perché è proprio quella del suo anziano amico! “Pronto è la famiglia Gallo” “Si” “E’ il Gallo?” Si chi parla?” “Ma c’è la gallina?” ” Ah, sei tu! Aspettavo questa telefonata! La gallina non c’è: E’ morta in una camera a gas ad Auschwitz, però prima di morire ti ha fatto un regalo: ha fatto l’uovo. Vienimi a trovare così lo mangiamo insieme!“
E anch’io affido a voi questo sentimento fragile e resistente come un uovo, questo sentimento dell’infanzia e della gioventù ribelle, che non cada prigioniero per sempre dei pirati e delle camere a gas, delle ragioni di stato (e delle “Ragioni” in generale), che si preservi in tutti noi, come in Peter, la voglia di ridere e creare.
Chicchirichì!
Spugna
Lasciatemi fare un’ultima precisazione e concludere con un’altra breve storiella. La considerazione è questa: c’è una grande differenza tra Peter Pan e il pirata che viene chiamato Spugna. Anche quest’ultimo è infantile, ha bisogno di qualcuno che lo guidi e gli dia ordini. Senza un Comandante non saprebbe dove andare. Odia Peter perché sa volare (e soprattutto perché glielo ha detto il Comandante). Spugna odia la vita e la annega nell’alcool, nella cocaina, nei bar di periferia. Peter invece ama la vita, ama inventare, creare, cercare nuovi amici per le sue avventure, immaginare un mondo che ancora non c’è. Nessuno gli può dire che cosa deve o non può fare perché ribelle come è farebbe subito il contrario. Io vorrei, Signori della Corte, che foste maggiormente preoccupati per i tanti Spugna (cortigiani, leccapiedi, opportunisti) che si trovano in giro: non c’è scuola, ufficio sezione di partito dove costoro non si annidino; ma siccome non disturbano i potenti nessuno fa al caso loro mentre chi fa troppo il galletto come Peter tutti pensano a spennarlo.
Le mamme sono ingannatrici
Ecco quindi che ora anche Voi Signori giurati sapete che cosa è veramente successo e non dubito che anche Voi come Peter non vorrete mai più sentire parlare di mamme e se foste stati al suo posto sareste come lui fuggiti su qualche isola che non c’è a danzare con le fate che sono ingannatrici, questo sì, ma di certo non come le mamme. Peter non ha mai più voluto parlare di questo episodio (il dolore, si capisce, è troppo grande) ma si è ovviamente rifiutato di diventare grande e ora corre e ride e vola divertendosi a bucherellare la pancia dei pirati e a combinare innumerevoli straordinarie imprese.
Secondo la morale corrente, posso capirlo, tutto questo non è accettabile. La vita è una cosa seria, si capisce, e soprattutto bisogna portare rispetto a chi è più anziano e maturo. Ma vedete, Peter non lo fa per cattiveria, egli è così perché …. Insomma è così perché è così. Si diverte, ecco tutto. Ama gli scherzi. In realtà detesta i cattivi ma non conosce l’astio. Cosa succederebbe se tutti si comportassero come lui? Sarebbero tutti degli immaturi? Il mondo non progredirebbe?
Era volato via dalla culla
Lo so, è un piccolo mascalzone, ma lo è in modo così genuino, diretto, trasparente. Ricordate cosa era successo poco dopo la sua nascita? Era volato via dalla culla per non stare a sentire i discorsi che genitori-nonni-parenti facevano sul suo futuro (sarà un ingegnere, no! un avvocato, un medico, un pediatra!). Era dunque tornato sull’isola di Kensington dove lo aspettavano le fate perché le facesse danzare con le melodie del suo zufolo. Era così bravo Peter che le feste riuscivano sempre in modo straordinario e le fate erano entusiaste di lui. C’era anche un guscio di noce con cui circumnavigava l’isoletta. Il Corvo Salomone non era per niente d’accordo con tutta questa faccenda delle feste e soprattutto sul fatto che Peter fosse ritornato indietro (tra l’altro questo fatto non era nemmeno previsto dal regolamento!). Continuava a ripetere; “Torna dalla mamma!” e Peter “Tanto la mamma mi aspetta”. “Come fai a saperlo?”. “Lo so e basta” concludeva Peter stufo di tutti quei discorsi. E per la verità Peter era anche ritornato a casa una volta trovando la sua mamma meravigliosa dolcemente addormentata; avvicinandosi a lei l’aveva udita mormorare nel sonno il suo nome (mentre alcune lacrime le bagnavano le guance) e Peter aveva per questo deciso di tornare a casa per sempre. Ovviamente era necessario andare prima a salutare le fate che lo aspettavano ancora per qualche ultima festa e circumnavigare per l’ultima volta l’isola (e successivamente concludere con qualche ultimissima festa e un’ultimissima circumnavigazione). Fatto sta che quando Peter finalmente si era deciso a volare verso casa e ritornare per sempre era già sera (no, Vostro onore, non ricordo che giorno fosse quella sera), insomma era sera e la casa era piena di luce e c’era molta allegria dentro e tanta gente che festeggiava e c’era la musica dentro le finestre erano chiuse e la porta era chiusa e era ormai buio fuori e c’era la mamma dentro che teneva in braccio un nuovo bambino.
(segue…)
Vostro Onore, Signori della Corte
è il non facile compito di questa difesa perorare la causa di un piccolo teppista irriverente e ribelle noto al mondo con il nome di Peter Pan, nato sull’isola dei Giardini di Kensington, Londra, Gran Bretagna e domiciliato nel cuore di tanti grandi-bambini, più precisamente dopo la seconda stella a destra vicino al mattino.
Benché i reati ipotizzabili siano più d’uno e tutti assai gravi (rapimento di bambini, gravi lesioni personali al Signor Uncino, danneggiamento della proprietà, istigazione a delinquere… solo per citarne alcuni) è fondata convinzione di questa difesa che i veri motivi per cui si intende procedere nei suoi confronti non risiedano in ciò che Peter può aver fatto bensì in ciò che egli è e rappresenta. Come tutti loro avranno avuto, anche recentemente, modo di osservare il mondo è pieno di briganti e lestofanti e spesso più sono lestofanti più vengono rispettati e ammirati, assurgono a cariche pubbliche e appaiono in televisione. Se qualche giudice poi vuol metter loro le manette succede un pandemonio e va a finire che in gattabuia ci finisce proprio il giudice. Non vi è dunque ragione per prendersela tanto per quel che ha fatto il povero Peter i cui reati appaiono al confronto poca roba e che, ad ogni modo, essendo minorenne, non può essere considerato imputabile.
No, la questione che tutti Loro sono oggi chiamati a giudicare riguarda ben altra e forse più grave circostanza: il suo rifiuto di crescere, di entrare a far parte del mondo dei grandi, di assumersi responsabilità e doveri. Guardino Signori della Corte: ecco il suo cappello verde e lo spadino. Ecco il suo sorriso con tutti i dentini da latte, i suoi calzari agili per fare le capriole…
Osservi Vostro Onore il suo sguardo innocente e compiaciuto: lo stesso che aveva quando lasciò precipitare dall’alto Wendy (che non sapeva ancora volare) solo per riprenderla un attimo prima che si spiaccicasse per terra e farle quindi notare come era stato bravo… Nessuno di noi può esattamente sapere cosa si nasconde dietro quello sguardo accigliato, quali pensieri contorti o capricci sta rimuginando, quali imprese eroiche sta complottando. Ascoltino il grido del gallo che Peter sa così bene imitare quando è contento (anzi felice!) delle sue bravate. Ci venga perdonata una domanda: Hanno mai fatto, Loro, il grido del gallo? Hanno mai fatto bravate ? E’ passato molto tempo dall’ultima volta?
D’accordo, Vostro Onore, chiedo scusa, non rivolgerò più parole irriverenti a questa Corte né le porterò oltraggio. Il fatto è che il mondo è così pieno di persone grandi che questo Peter mi intenerisce.
Il bambino che non voleva crescere
Nella celebre commedia teatrale di James Barrie: “Peter Pan, il bambino che non voleva crescere” è rappresentato con straordinaria finezza di particolari e sfumature psicologiche la lotta, personale, tragica, contraddittoria di un bambino contro il mondo degli adulti: un mondo pieno di buon senso (la cosa che Peter Pan aborrisce più di ogni altra), di regole, di disciplina. Peter vive invece nell’incanto, in mezzo alle fate e alle sirene dell’isola-che-non-c’è. E’ narcisista, capriccioso, viola tutte le leggi comprese quelle che egli stesso sancisce. Ma è anche audace, generoso, incapace di calcolo. Alla fine del terzo atto, mentre Peter, solo su uno scoglio, si prepara alla lotta contro Capitan Uncino per salvare la piccola Wendy succede qualcosa di particolare: ” Peter, finalmente, è spaventato e un tremito lo coglie, come un brivido che sfiori la laguna. Ma sulla laguna un brivido segue all’altro, fino a che ce ne sono centinaia, e Peter si sente completamente solo. Con un tamburo che gli batte nel petto come se finalmente fosse un vero ragazzo (dice): morire sarà una grandissima avventura.” E’ il capovolgimento della logica di K. per cui la morte e dunque anche la vita sarà assolutamente senza senso.
Il dramma di Peter Pan risiede nel fatto che egli resterà per sempre bambino. Quando, nell’epilogo, Wendy diventerà grande (e perderà la possibilità di volare) sarà sua figlia Jane che volerà via insieme a Peter nel cielo “fino a diventare piccoli come stelle“. E quando sarà Jane ad avere i capelli bianchi sarà la volta di Margareth, sua figlia, e così via fino a quando, avverte l’Autore “i ragazzi saranno allegri, innocenti e senza cuore”. Molti hanno visto in Peter Pan il simbolo di una generazione incapace di crescere, malata di narcisismo, incapace di diventare adulta. Nel saggio “La strategia di Peter Pan” di Aldo Carotenuto viene offerta una interpretazione diversa sicuramente discutibile ma fortemente suggestiva: “Peter Pan è un atto di accusa alla modernità: il mondo degli adulti non ha nulla da insegnare ai suoi giovani. Perché le sue regole non si prefiggono altro che perpetuare e conservare uno statu quo privo di scopi e di ideali, i cui fini sembrano essere prettamente economici, utilitaristici. (…) E’ l’azione rivendicativa dello ‘spirito’ contro un ordine che si è rivelato incapace di alimentare le energie migliori dell’individuo, di incanalare le sue potenzialità creative. E’ una rivolta contro quel ‘sorriso del disprezzo’ dei padri verso i figli incapaci ad adeguarsi al principio di realtà, sempre persi dietro ai loro stupidi pensieri”.
Ed è per questa ragione che, nel processo che viene quotidianamente celebrato a carico di tutti coloro che non accettano le regole precostituite del diventare grandi, mi permetto di pronunciare la seguente arringa: