Differenze Nord Sud del Mondo
Alcuni dati della questione
Una questione che definisce anche noi
Cooperazione internazionale
Alcuni dati della questione
Una questione che definisce anche noi
Cooperazione internazionale
Questione migratoria
Non solo Mediterraneo ma anche migrazioni interne all’Africa, dall’Afghanistan (vergognosamente abbandonato dall’Occidente)
Diritto al cibo, progetto Fame Zero
distinzione tra migranti economici e rifugiati politici. E’ così sbagliato cercare un futuro economicamente migliore?
attrezzarsi per accogliere
Oggi sono felice di essere con voi in quella che nella storia sarà ricordata come la più grande manifestazione per la libertà nella storia del nostro Paese.
Si trattava di una legge epocale, che accese un grande faro di speranza per milioni di schiavi neri, marchiati dal fuoco di una bruciante ingiustizia. Il proclama giunse come un’aurora di gioia, che metteva fine alla lunga notte della loro cattività.
Sono passati cento anni, e la vita dei neri è ancora paralizzata dalle pastoie della segregazione e dalle catene della discriminazione.
Sono passati cento anni, e i neri vivono in un’isola solitaria di povertà, in mezzo a un immenso oceano di benessere materiale. Sono passati cento anni, e i neri ancora languiscono negli angoli della società americana, si ritrovano esuli nella propria terra. Quindi oggi siamo venuti qui per tratteggiare a tinte forti una situazione vergognosa. In un certo senso, siamo venuti nella capitale del nostro paese per incassare un assegno. Quando gli architetti della nostra repubblica hanno scritto le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione d’indipendenza, hanno firmato un “pagherò” di cui ciascun americano era destinato a ereditare la titolarità. Il “pagherò” conteneva la promessa che a tutti gli uomini, sì, ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti questi diritti inalienabili: “Vita, libertà e ricerca della felicità”.
Oggi appare evidente che per quanto riguarda i cittadini americani di colore, l’America ha mancato di onorare il suo impegno debitorio. Invece di adempiere a questo sacro dovere, l’America ha dato al popolo nero un assegno a vuoto, un assegno che é tornato indietro, con la scritta “copertura insufficiente”.
Ci rifiutiamo di credere che nei grandi caveau di opportunità di questo paese non vi siano fondi sufficienti. E quindi siamo venuti a incassarlo, questo assegno, l’assegno che offre, a chi le richiede, la ricchezza della libertà e la garanzia della giustizia. Siamo venuti in questo luogo consacrato anche per ricordare all’America l’infuocata urgenza dell’oggi. Quest’ora non è fatta per abbandonarsi al lusso di prendersela calma o di assumere la droga tranquillante del gradualismo.
Se la nazione non cogliesse l’urgenza del presente, le conseguenze sarebbero funeste.
L’afosa estate della legittima insoddisfazione dei negri non finirà finché non saremo entrati nel frizzante autunno della libertà e dell’uguaglianza. Il 1963 non è una fine, è un principio. Se la nazione tornerà all’ordinaria amministrazione come se niente fosse accaduto, chi sperava che i neri avessero solo bisogno di sfogarsi un pò e poi se ne sarebbero rimasti tranquilli rischia di avere una brutta sorpresa. In America non ci sarà né riposo né pace finché i neri non vedranno garantiti i loro diritti di cittadinanza. I turbini della rivolta continueranno a scuotere le fondamenta della nostra nazione finché non spunterà il giorno luminoso della giustizia. Ma c’è qualcosa che devo dire al mio popolo, fermo su una soglia rischiosa, alle porte del palazzo della giustizia: durante il processo che ci porterà a ottenere il posto che ci spetta di diritto, non dobbiamo commettere torti. Non cerchiamo di placare la sete di libertà bevendo alla coppa del rancore e dell’odio. Dobbiamo sempre condurre la nostra lotta su un piano elevato di dignità e disciplina. Non dobbiamo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in violenza fisica.
Sempre, e ancora e ancora, dobbiamo innalzarci fino alle vette maestose in cui la forza fisica s’incontra con la forza dell’anima. Il nuovo e meraviglioso clima di combattività di cui oggi è impregnata l’intera comunità nera non deve indurci a diffidare di tutti i bianchi, perché molti nostri fratelli bianchi, come attesta oggi la loro presenza qui, hanno capito che il loro destino è legato al nostro.
Hanno capito che la loro libertà si lega con un nodo inestricabile alla nostra. Non possiamo camminare da soli. E mentre camminiamo, dobbiamo impegnarci con un giuramento: di proseguire sempre avanti. Non possiamo voltarci indietro. C’è chi domanda ai seguaci dei diritti civili: “Quando sarete soddisfatti?”. Non potremo mai essere soddisfatti, finché i neri continueranno a subire gli indescrivibili orrori della brutalità poliziesca. Non potremo mai essere soddisfatti, finché non riusciremo a trovare alloggio nei motel delle autostrade e negli alberghi delle città, per dare riposo al nostro corpo affaticato dal viaggio.
Non potremo mai essere soddisfatti, finché tutta la facoltà di movimento dei neri resterà limitata alla possibilità di trasferirsi da un piccolo ghetto a uno più grande. Non potremo mai essere soddisfatti, finché i nostri figli continueranno a essere spogliati dell’identità e derubati della dignità dai cartelli su cui sta scritto “Riservato ai bianchi”. Non potremo mai essere soddisfatti, finché i neri del Mississippi non potranno votare e i neri di New York crederanno di non avere niente per cui votare.
Io non dimentico che alcuni fra voi sono venuti qui dopo grandi prove e tribolazioni. Alcuni di voi hanno lasciato da poco anguste celle di prigione. Alcuni di voi sono venuti da zone dove ricercando la libertà sono stati colpiti dalle tempeste della persecuzione e travolti dai venti della brutalità poliziesca. Siete i reduci della sofferenza creativa. Continuate il vostro lavoro, nella fede che la sofferenza immeritata ha per frutto la redenzione. Tornate nel Mississippi, tornate nell’Alabama, tornate nella Carolina del Sud, tornate in Georgia, tornate in Louisiana, tornate alle baraccopoli e ai ghetti delle nostre città del Nord, sapendo che in qualche modo questa situazione può cambiare e cambierà. Non indugiamo nella valle della disperazione.
E un sogno che ha radici profonde nel sogno americano.
Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali. Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternità.
Ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, dove si patisce il caldo afoso dell’ingiustizia, il caldo afoso dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e di giustizia. Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l’essenza della loro personalità. Oggi ho un sogno.
Ho un sogno, che un giorno, laggiù nell’Alabama, dove i razzisti sono più che mai accaniti, dove il governatore non parla d’altro che di potere di compromesso interlocutorio e di nullification delle leggi federali, un giorno, proprio là nell’Alabama, i bambini neri e le bambine nere potranno prendere per mano bambini bianchi e bambine bianche, come fratelli e sorelle.
Ho un sogno, che un giorno ogni valle sarà innalzata, ogni monte e ogni collina saranno abbassati, i luoghi scoscesi diventeranno piani, e i luoghi tortuosi diventeranno diritti, e la gloria del Signore sarà rivelata, e tutte le creature la vedranno insieme.
Questa è la fede che porterò con me tornando nel Sud. Con questa fede potremo cavare dalla montagna della disperazione una pietra di speranza. Con questa fede potremo trasformare le stridenti discordanze della nostra nazione in una bellissima sinfonia di fraternità.
Quel giorno verrà, quel giorno verrà quando tutti i figli di Dio potranno cantare con un significato nuovo:
E se l’America vuol essere una grande nazione, bisogna che questo diventi vero. E dunque, che la libertà riecheggi dalle straordinarie colline del New Hampshire. Che la libertà riecheggi dalle possenti montagne di New York.
Che la libertà riecheggi dagli elevati Allegheny della Pennsylvania.
Che la libertà riecheggi dalle innevate Montagne Rocciose del Colorado.
Che la libertà riecheggi dai pendii sinuosi della California. Ma non soltanto.
Che la libertà riecheggi dalla Stone Mountain della Georgia.
Che la libertà riecheggi dalla Lookout Mountain del Tennessee.
Che la libertà riecheggi da ogni collina e da ogni formicaio del Mississippi, da ogni vetta, che riecheggi la libertà.
E quando questo avverrà, quando faremo riecheggiare la libertà, quando la lasceremo riecheggiare da ogni villaggio e da ogni Paese, da ogni stato e da ogni città, saremo riusciti ad avvicinare quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, protestanti e cattolici, potranno prendersi per mano e cantare le parole dell’antico inno: “Liberi finalmente, liberi finalmente. Grazie a Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente”.
I have a Dream è un discorso pubblico pronunciato durante la March on Washington for Jobs and Freedom al Lincoln Memorial il 28 agosto 1963. Un discorso celeberrimo in occasione dei cento dal Proclama di emancipazione dei neri con il quale Abramo Lincoln aveva abolito la schiavitù negli Stati Uniti.
Sono trascorsi altri 50 e passa anni ma non c’è ancora parità di diritti, né piena libertà, né piena uguaglianza, né finer dei pregiudizi e del razzismo e le parole di Martin Luther King non hanno ancora perso nulla della loro straordinaria attualità e forza.
Il 26 gennaio 1961 John Fitzgerald Kennedy prestò giuramento come 35° Presidente degli Stati Uniti d’America. Il suo discorso è rimasto nella storia come uno dei più limpidi e appassionati appelli ad esercitare una piena cittadinanza. E’ veramente cittadino non chi attende dagli altri o dallo Stato qualcosa ma chi è pronto a costruire insieme agli altri la città.
“Coloro che rendono impossibile la rivoluzione pacifica rendono inevitabile la rivoluzione violenta”.
JFK
Poche persone, forse nessuno, hanno fatto più di Giancarlo Lombardi per lo Scautismo italiano nel secondo dopoguerra. Un Capo di grande personalità e autorevolezza ebbe un ruolo decisivo nella nascita dell’AGESCI. Le sue idee, il suo pensiero hanno largamente ispirato lo scautismo italiano per come lo conosciamo oggi.
Le poche righe che seguono sono il discorso tenuto in occasione della sua commemorazione in Senato e verranno presto integrate con alcune testimonianze di coloro che hanno collaborato con lui e gli sono stati amici di una vita.
Giancarlo Lombardi è stato Ministro della pubblica istruzione dal 1995 al 1996 con il Governo Dini. Fu anche deputato, eletto nella XIII legislatura nelle liste del Partito Popolare Italiano, e militò nella Margherita. Fu imprenditore, presidente di Federtessile, vice presidente di Confindustria con delega all’istruzione, membro di numerosi consigli di amministrazione di società, associazioni, enti, delle università LUISS e Cattolica e, da ultimo, del Collegio di Milano, che aveva contribuito a fondare.
Presentando se stesso si definiva innanzitutto uno scout; come diceva: «Lo scoutismo è la seconda cosa più importante della mia vita dopo la famiglia». Ha avuto tre figli, Andrea, Marco e Paolo, e una compagna di vita, Ninetta, di straordinaria finezza, sempre al suo fianco con coraggio e con il sorriso, anche nei momenti più difficili e bui della loro esistenza. Tra questi, la morte del figlio Andrea fu certamente il più tragico.
Dunque innanzitutto uno scout… Giancarlo Lombardi promosse e realizzò la fusione tra l’Associazione scout cattolica maschile (ASCI) e quella femminile (AGI), dando vita, nel 1974, all’Associazione guide e scout cattolici italiani (AGESCI). Una fusione che a quel tempo fece storcere il naso ad alcuni esponenti del mondo cattolico e delle gerarchie ecclesiali, suscitando critiche e riserve anche aspre. Giancarlo difese con fermezza quella scelta, rivendicando, in linea con il Concilio Vaticano II, la sfera di autonomia di laici e credenti: cristiani adulti. In realtà fu il coraggio di aprire una strada, di stare sulla frontiera e di contribuire a cambiare il costume della nostra società e il modo di essere dei laici nella Chiesa.
Fu anche presidente dell’AGESCI dal 1976 al 1982, anni in cui si assistette al raddoppio degli iscritti, che diventarono in breve quasi 200.000, a conferma della felicità della sua intuizione. Per molti anni svolse attività di formazione con i campi scuola nell’amatissima Val Codera, sopra Colico, luogo di selvaggia bellezza, teatro delle imprese delle Aquile randagie, quei gruppi di scout che avevano continuato le attività in forma clandestina durante gli anni del fascismo e che avevano accompagnato tanti ricercati, tanti ebrei, tanti perseguitati politici a riparare in Svizzera. Giancarlo è stato giustamente considerato il miglior erede e interprete di quell’esperienza di libertà e impegno.
Coniugare la serietà meticolosa negli impegni assunti e uno spirito libero, una visione utopistica e persino un po’ ribelle della vita è stata una delle caratteristiche che lo hanno fatto tanto amare da generazioni di giovani capi scout e non solo, che si sono formati alla sua scuola. Ha scritto sulla rivista «RS-Servire», di cui è stato per tanti anni direttore, a proposito del coraggio dell’utopia: «La parola “utopia” non significa affatto una cosa bella ma impossibile o peggio ancora un sogno irrealizzabile e irresponsabile, ma al contrario vuole indicare una meta da cercare e perseguire perché possibile, di un cammino forse difficile ma fattibile».
Dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Milano, si recò per un periodo di volontariato in Africa, dove conobbe e collaborò con Albert Schweitzer, il celebre medico alsaziano, premio Nobel per la pace, che aveva fondato a Lambaréné un centro per la cura della lebbra.
Tornato in Italia, andò dapprima a lavorare all’Olivetti e poi presso l’azienda di famiglia, la Filatura di Grignasco, che sviluppò e fece crescere fino a farla diventare un gruppo con oltre 1.500 dipendenti e 150 miliardi di lire di fatturato. Era considerato un imprenditore idealista, impegnato nella tutela dell’ambiente, nel rinnovamento dei settori di depurazione delle acque di lavorazione, delle relazioni industriali, dei rapporti con il personale, dell’introduzione dell’informatica di avanguardia. Soprattutto – e fu anche criticato per questo – egli metteva al centro il lavoratore, la sua dignità, il rafforzamento delle sue capacità e la sua formazione, individuando nel lavoro un fattore di promozione e sviluppo della persona.
Il contrasto alla dispersione scolastica e l’interrelazione tra studio e lavoro come chiave per la maturazione della persona sono stati anche al centro del suo progetto di riforma della scuola, alla cui preparazione dedicò grandi energie, passione e intelligenza, e che cominciò a realizzare durante l’esperienza ministeriale del Governo Dini. Con una scelta abbastanza inconsueta anche ai giorni nostri, rifiutò il posto di Ministro dell’università e della ricerca (a quel tempo distinto da quello della pubblica istruzione), offertogli nel Governo Prodi, perché non gli sembrava serio occupare un posto per il quale non si sentiva adeguatamente preparato. Egli visse con un sentimento di grande amarezza il non poter dare seguito a quella riforma scolastica per la quale si era tanto speso.
Oggi, però, molte delle sue intuizioni e idee si sono comunque affermate e rappresentano il meglio delle esperienze innovative che vengono sperimentate nel nostro Paese.
Giancarlo Lombardi è stato un uomo di grande cultura e vastissimi interessi e curiosità, ossessionato dal mettere qualità e attenzione anche nelle piccole cose (le piccole cose che a volte fanno il tutto) e nel cercare di vivere con grande rettitudine. In questo egli era esigente con sé, così come con gli altri, specialmente coloro ai quali voleva maggiormente bene.
Signor Presidente, ricordo che Giancarlo Lombardi venne a trovarmi poco tempo dopo l’inizio della legislatura e ci sedemmo nel corridoio dietro l’Aula, dove ci sono le poltroncine azzurre. Pensavo che volesse parlarmi di politica, invece era venuto per dirmi che non bisogna mai essere gretti, nemmeno con gli avversari politici, e per ammonirmi a non lasciarmi tentare dalle frivolezze della vita romana.
Giancarlo Lombardi è stato un grande amico della comunità di Bose e del suo fondatore, fratel Enzo Bianchi. Egli si interessava di ecumenismo e dialogo interreligioso, conosceva a fondo le opere di Karl Barth e amava citare Martin Buber. Soprattutto, egli amava Dietrich Bonhoeffer, il teologo tedesco protestante impiccato nel campo di Flossenbürg nell’aprile 1945. Ha scritto Bonhoeffer: «Non di geni, né di cinici, né di gente che disprezza gli uomini, né di tattici raffinati abbiamo bisogno, ma di uomini aperti, semplici, diritti. Ci sarà rimasta tanta forza di resistenza interiore (…), tanta spietata sincerità verso noi stessi da poter ritrovare la strada della semplicità e della rettitudine?» È più da furbi essere pessimisti: si dimenticano le delusioni, si sta in faccia alla gente senza compromettersi. Così l’ottimismo è passato di moda presso i furbi. Nella sua essenza l’ottimismo è una forza della speranza dove gli altri si sono rassegnati, la forza di tenere alta la testa anche quando tutto sembra fallire, la forza di reggere i colpi, la forza che non lascia mai il futuro all’avversario, ma lo reclama per sé. Si tratta di parole che Giancarlo ha citato tante volte e soprattutto testimoniato con la sua esistenza. Larger than life, direbbero gli anglosassoni, ossia più grande della vita. Questo è stato Giancarlo Lombardi, un uomo che ha tenuto fede alla promessa di lasciare il mondo un po’ migliore di come lo ha trovato.
Albert Speer , uno dei più stretti collaboratori di Hitler, descrisse in questi termini i metodi utilizzati dal dittatore tedesco per giungere al potere “ La dittatura di Hitler, differiva per un aspetto sostanziale da ogni altra dittatura. Fu la prima nel nostro periodo di moderna evoluzione tecnica e quindi si servì di tutti i mezzi tecnici disponibili per la dominazione del Paese. Strumenti tecnici quali la radio e l’altoparlante servirono a togliere il pensiero indipendente a ottanta milioni di individui. Fu così possibile assoggettarli alla volontà di un solo uomo. I dittatori del passato avevano bisogno di collaboratori qualificatissimi anche a livello minimo. Ma nel nostro periodo di evoluzione tecnica moderna si può anche fare a meno di questi uomini; grazie ai metodi di comunicazione moderni è possibile meccanizzare la direzione a basso livello. In questo modo si è potuto formare un dirigente di tipo nuovo; quello che riceve acriticamente gli ordini”. Anni dopo Huxley commentava le affermazioni di Speer con le seguenti parole: “ Dai tempi di Hitler gran mole di lavoro si è svolto in quei campi della psicologia e della neurologia applicata, che sono settore specifico del propagandista. In passato gli specialisti nell’arte di cambiare il cervello del prossimo erano degli empirici. Provando e riprovando essi elaborarono una serie di nuove tecniche, di nuove procedure e le impiegarono con ottimi risultati senza sapere il perché della loro efficacia. Oggi l’arte del controllo dei cervelli sta diventando una scienza. E chi pratica tale scienza sa quel che sta facendo e perché; ha per guida teorie e ipotesi ben fondate su massicce prove sperimentali. Grazie alle nuove teorie e alle nuove tecniche che le teorie rendono possibili, quell’incubo non realizzato sotto Hitler può diventare realizzabilissimo” (A. Huxley, “Il Ritorno al Mondo Nuovo” , 1953 ed. Mondadori). Non c’è bisogno di sottolineare che nei cinquant’anni trascorsi da quando queste osservazioni furono pubblicate i “progressi” effettuati dagli studi e dalle tecniche di persuasione (anche occulta) sono tali e si sono così diffusi (dall’informazione commerciale a quella politica) da rappresentare una vera sfida alla nostra libertà di convincimento e di scelta. Siamo davvero liberi di scegliere?
La questione non è solo filosofica perché si moltiplicano i timori che la diffusione di fake news sui social media possano oggi essere uno strumento di manipolazione delle nostre conoscenze e intelligenze. In altre parole un mezzo per consentire a nuovi aspiranti dittatori di ottenere il potere. La riflessione su questo argomento prosegue nel prossimo articolo.
Sono trascorsi quasi cento da quando vennero sperimentati per la prima volta gli strumenti e le tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica che, come disse Albert Speer (si veda questo articolo) hanno consentito a politici spregiudicati di giungere al potere e di ottenere la “dominazione del Paese” e a “togliere il pensiero indipendente” ai cittadini. All’epoca tali strumenti erano la radio e l’altoparlante (oltre che una certa disponibilità di tante persone di rispondere acriticamente agli ordini). Quali sono oggi gli strumenti disponibili? Certamente la televisione e il cinema sono stati determinanti nei decenni passati ma…
Sono domande inquietanti ma necessarie per capire fino a che punto l’ampliamento delle fonti di informazione (non più filtrate da operatori professionali come ad esempio sono i giornalisti che assumono la responsabilità per ciò che scrivono) sia un beneficio e un arricchimento per i cittadini o una forma molto subdola di condizionamento irresponsabile. Alla fin fine la domanda rimane ancora quella classica: fino a che punto siamo liberi di scegliere?
Dal 2017 a oggi, la manipolazione dei social network è più che raddoppiata, secondo un nuovo rapporto. Ecco gli strumenti usati per diffondere fake news, come si costruisce una campagna di disinformazione.
Alla pandemia da Covid-19 rischia di accompagnarsi la diffusione di un altro virus: quello della disinformazione, dalle “semplici” fake news alle vere e proprie campagne pianificate da governi e partiti stranieri. L’allarme di Copasir, AgCom e Ue.
I tagli alle risorse per l’accoglienza dei rifugiati e il pacchetto sicurezza finiranno per far aumentare disordine e illegalità. Perché salirà il numero delle persone a cui verrà negato asilo, ma non quello delle espulsioni, nonostante i proclami
In un discorso imperdibile, la giornalista Carole Cadwalladr ripercorre uno degli eventi più sconcertanti degli ultimi tempi: il voto del Regno Unito del 2016 per lasciare l’Unione Europea. Rintracciando il risultato sulla Brexit dovuto a una raffica d’ingannevoli post pubblicitari di Facebook rivolti agli elettori più vulnerabili — e collegando gli stessi protagonisti e le stesse strategie all’elezione presidenziale statunitense del 2016 — Cadwalladr si rivolge agli “dèi della Silicon Valley” che sono dalla parte sbagliata della storia, chiedendo loro: elezioni libere e giuste sono solo un ricordo del passato?
Da sempre per la politica sfruttare i media a proprio vantaggio è una tentazione irresistibile. Se Mussolini è stato tra i primi a ricercare il consenso attuando una persuasione sistematica, a seguirne le orme sono stati in molti. Fabio Martini ricostruisce in questo libro la storia della propaganda mirata a conquistare l’immaginario degli italiani e diffusa attraverso i film, i cinegiornali, la televisione, la pubblicità, il web. Nel farlo, mette in luce metodi ed espedienti delle diverse epoche (recensione Amazon).
l caso Cambridge Analytica ha portato con sé la valutazione globale dell’impatto dei social network nelle campagne politiche. Forse qualcuno è già in grado di conoscerci meglio dei nostri partner analizzando la nostra attività online? Strutturare una campagna elettorale conoscendo le paure di ogni elettore permette di bilanciare buone notizie e cattive notizie (good/bad news) come mai avvenuto. Come si può limitare il controllo? (dalla presentazione Amazon)
un film sulle origini di Facebook con una sceneggiatura del grande Aron Sorkin (2010)
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Alcune teorie politiche e sociali che ambivano di poter governare e risolvere in modo definitivo i problemi e le contraddizioni della storia umana con una rigida pianificazione dell’economia e dei processi produttivi non hanno dato i risultati che i loro promotori speravano (anzi che davano per ineluttabili) e le gigantesche sofferenze sociali ed umane che tali progetti hanno comportato hanno ben giustificato la foga con la quale, nel 1989, i berlinesi hanno abbattuto il muro.
Quel muro era il simbolo di una razionalità spietata che diventava ferocia e disumanità e nel dargli un colpo di piccone tutti noi ci siamo sentiti orgogliosi e consapevoli del significato della famosa frase di John Kennedy “Ich bin Berliner” (io sono un berlinese)(). Abbattere quel muro, essere dunque berlinesi ha significato per molti affermare in qualche modo la volontà di abbattere tutti i muri di odio nel mondo ().
Il nostro tempo è però caratterizzato anche da fallimenti, da promesse mancate della scienza e della tecnologia (lo Shuttle che esplode, l’incapacità di curare vecchie e nuove malattie) crisi economiche che gettano senza preavviso nella miseria intere popolazioni.
Dietro ragionamenti apparentemente lucidi si nasconde spesso qualche follia (il terrorismo, ad esempio). Sempre più spesso si possono ascoltare persone apparentemente di buon senso che con ricche e dotte argomentazioni vi spiegano che per risolvere i problemi della vita l’unica soluzione è …..la morte ().
E’ stato detto che il sonno della ragione genera mostri. Ma anche la ragione senza sentimenti, amicizia, affetti, solidarietà, comprensione, tolleranza può diventare disumana. Non a caso la ghigliottina non ha mai lavorato tanto come nell’epoca dei lumi.
Ma se la razionalità pura (quella con la “R” maiuscola, assoluta, scientifica, inflessibile, inflessibilmente programmatice, che non vede né uomo né Dio al di fuori di se stessa), il Pensiero Unico, la Dea Ragione, portano alle visioni rigidamente ideologiche, alle teorie disumanizzanti, alle pratiche dei campi di concentramento, ai ghetti di Soweto nei pressi Johannesburg, in altre parole alla catastrofe della torre () non per questo dobbiamo rassegnarci alla mancanza di ragionevolezza nel nostro agire.
La capacità di riflettere, di dubitare, di mettere in discussione le cose che abbiamo imparato, in altre parole la capacità di ragionare sono un patrimonio e un valore che ciascuno porta con sé e che ci differenziano da qualunque altro animale. Descartes ha affermato “Cogito ergo sum” (penso dunque sono) affermazione piuttosto radicale ma che mi sentirei di sottoscrivere se essa significasse anche: “poiché sono un uomo, sono in grado (devo, ho la responsabilità ) di ragionare”.
Guardiamo quindi al mondo con curiosità critica, con simpatia, desiderosi di comprendere ma non di farci incantare, con la libertà interiore di chi sa farsi stupire ma non intende lasciarsi ipnotizzare.
Non sono stati solo i sistemi totalitari caduti col muro di Berlino a cercare di imbrigliare il cuore e le menti delle persone e delle generazioni più giovani in particolare. Il rischio è immanente in tutti i sistemi, anche quelli formalmente più democratici e liberali. Infatti le relazioni di potere sono spesso invisibili, sono costruite sul senso di colpa che spesso viene spacciato per senso del dovere. I sistemi educativi, in particolare, sono stati spesso lo strumento attraverso i quali si è cercato di uniformare il modo di pensare e di agire delle persone rendendoli null’altro che another brick in the wall, un altro mattone nel muro…
Dobbiamo ringraziare i Pink Floyd per una magnifica canzone e un video che valgono sull’argomento più di mille parole.