Testimoni
Perseguitati per la fede
Secondo la testimonianza di Franciszek Gajowniczek, Padre Kolbe disse a Hans Bock, il delinquente comune nominato capoblocco dell’infermeria dei detenuti, incaricato di effettuare l’iniezione mortale nel braccio: «Lei non ha capito nulla della vita…» e mentre questi lo guardava con fare interrogativo, soggiunse: «…l’odio non serve a niente… Solo l’amore crea!». Le sue ultime parole, porgendo il braccio, furono: «Ave Maria».
Achille Cartoccio
Achille Cartoccio è stato uno degli incontri più belli della mia vita: una straordinaria intelligenza unita ad una mitezza fuori dal comune e ad una grande passione per l’educazione. Se c’è un uomo che aiutava a pensare fuori dagli schemi e che rischiarava con dei pensieri alti e lucidi le riunioni di RS Servire questo era sempre Achille. Non ricordo di lui una sola frase fuori posto, un intervento che non si concludesse con un sorriso. Grazie Achille di questa tua vita piena che hai portato con grande coraggio e dignità facendo anche i conti per tantissimi anni con una malattia invalidante. Resterà il segno che hai tracciato sulle nostre vite indirizzandole al desiderio e al gusto del bello, del discernimento nella complessità, ad orientarle verso il bene.
Di intelligenza profonda e particolarmente arguta, Achille aveva una cultura poderosa e mai esibita. Come tutti i timidi era ironico e discreto, ma non si risparmiava quando era tirato in ballo. Generoso e mite, aveva un’aria un po’ da uccello curioso, che lo rendeva subito simpatico. E uno sguardo particolare, trasparente e indagatore. Una persona alla quale non potevi mentire. Profondamente scout era stato incaricato della Formazione Capi in AGESCI. Aveva passioni improbabili, dalla canzone ‘La guerra di Piero’ al monaco Pacomio. Le prese in giro degli amici non gli impedivano di andare dritto per la sua strada.
Amico fedele, come capo ha segnato la vita di molti, proprio perché aveva l’aria di non volerla segnare.
Vittorio Ghetti lo indica come una delle tre persone che hanno più influito sulla sua formazione. Uso le sue parole ”Il terzo uomo, A.C., non è per me un modello, ma un testimone, una prova vivente e la prova, in un uomo del suo spessore, ha uno straordinario potere di convincimento. I lunghi anni passati vicino ad A.C. nell’intimità di comuni progetti mi hanno consentito di apprezzare e, quindi, di essere certamente influenzato da tre aspetti della sua testimonianza. Anzitutto la lucidità del suo pensiero, la sua capacità di dipanare situazioni complicate e la sua paziente disponibilità ad ascoltare prima di proporre la sua opinione, spesso autenticamente creativa. Questa lucidità si manifesta abitualmente nei suoi scritti, nei suoi interventi e in fase di strutturazione di confronti di opinioni. E’ una forma mentale che frena la mia impulsività. Inoltre, la sua fede e il suo credo che mi sembrano andare al di là del semplice interrogativo :”Quale è il fine principale della vita?” (…) Da tutto il suo modo di essere infatti appare del tutto evidente che oltre al divino in cui certamente crede, ci sia l’umano in tutta la sua profondità. (…) A.C. non vive di solo cielo ma anche di autorealizzazione e di amore per i vicini e i lontani per i quali ha impostato il suo lavoro quotidiano. Un uomo umano che vive di speranza, si fonda sulla fede e trova nella carità il suo compimento. Infine A.C. educatore, che vede nella educazione e formazione il più efficace strumento di rinnovamento di cui la società ha oggi bisogno. (…)A lui mi sono spesso rivolto per avere aiuto, consigli e indirizzi di metodo e di contenuto. Sono stato contagiato dalla serietà delle sue analisi e attratto dal rigore dei suoi processi formativi. Ad A.C. devo almeno in parte la mia perseveranza nel credere nello scoutismo e la mia più recente scelta professionale”.
Parole dense di amicizia e di stima, come sarebbe bello se ciascuno di noi potesse avere nella vita un amico della qualità di Achille Cartoccio.
Chiara Biscaretti – di che colore è la mia speranza
Chiara Biscaretti: di che colore è la mia speranza
“Ciao bambino della Francesca che non sei ancora nato. Tutti qua ti aspettano e ti pensano, preparano per te tanti golfini e tanti progetti. Avrai la nurse tedesca, andrai a scuola di inglese, giocherai a calcio, suonerai il piano, sarai un bravo bambino, sarai ordinato, avrai tanti amici, sarai bello, aiuterai a casa, scriverai poesie. Stai attento mi raccomando. Il mondo ti darà esattamente quello che gli chiederai, né più né meno. Ricordato che dipenderà da te quello che “gli Altri” ti faranno. Guarda tutto. Chiedi tutto. Sappi scegliere. Ascolta tutti. Pensa con la tua testa. Studia, Leggi, Scrivi e FAI. Prova le cose nuove. Ma pensa prima di agire. Parla molto. Non avere paura del Silenzio. Ama la Vita, non avere paura della morte. Ma non fare il muso e non portare rancore anche se pensi di avere ragione (anche se hai ragione),non dimenticarti di ascoltare. Non avere paura di fare il primo passo, di rompere il ghiaccio, di rischiare, di giocarti. Non avere paura delle brutte figure, di quello che pensano gli altri. Rispetta le idee e le azioni di tutti. Anche se sono diverse e non ti piacciono.Ma non cambiare le tue per farti simile a loro. Sii cortese e fa ciò che agli altri fa piacere se puoi farlo senza calpestare te stesso. Se no parla. Non calpestarti e non lasciarti calpestare per nessuna ragione. O persona. Gli amici sono importanti, tu però lo sei di più. Non è una affermazione egoista. Fa qualunque per un amico. Se vuoi, se ti viene dal cuore. Abbi amici di tutte le età. Tutti possono darti e a tutti puoi dare. Stai con quante ragazze vuoi ma non giocare con l’amore. E’ troppo bello per sprecarlo. Ascolta se Dio ti chiama e parlagli se hai bisogno di aiuto”.
E’ una lettera di Chiara Biscaretti, Capo Clan del Milano 88 e redattrice di Camminiamo Insieme, indirizzata al bambino che una sua amica sta aspettando. Chiara è in ospedale. Pochi mesi prima ha dovuto interrompere il campo estivo per una febbre che la spossava. Scopre di avere la leucemia, una malattia simile a quella che ha portato via prima il suo papà e poi la sua mamma. Scrive un diario bellissimo in cui i temi della paura e della speranza si intrecciano alla capacità di emozionarsi ed appassionarsi per le cose che le succedono intorno, la vita dei suoi amici, quella della comunità di Taizé a cui è molto legata. Si spegne il 15 dicembre 1998.
Ingrid Betancourt: Non c’è silenzio che non abbia fine
“Quando sei incatenata ad un albero per il collo e ti manca tutto… Mi ci sono voluti anni a capirlo, ma hai ancora la libertà più importante: quella di decidere che tipo di persona vuoi essere”
Ingrid Betancourt
Candidata alla Presidenza della Colombia, Ingrid Betancourt (Bogotà, 1961) fu catturata e tenuta ostaggio dai guerriglieri delle FARC per sei anni. La sua prigione era la giungla impenetrabile, un territorio vasto come il mare e inaccessibile come le montagne. Molteplici furono i tentativi di liberarla e molti pensavano che fosse morta insieme ai suoi compagni di prigionia. Nel luglio del 2008 con una spettacolare operazione di salvataggio denominata Jaque l’esercito colombiano riuscì a liberarla insieme agli altri prigionieri. Fingendosi guerriglieri di una fazione amica atterrarono con l’elicottero nell’accampamento dove era tenuta prigioniera e se la fecero consegnare amichevolmente. Alcuni militari addirittura intervistarono il comandante delle FARC simulando di essere giornalisti e operatori umanitari. A bordo dell’elicottero i carcerieri furono sopraffatti e Ingrid Betancourt riportata alla vita libera.
L’esperienza della prigionia fu per la Betancourt fonte di profonde riflessioni sul tema della libertà. In questa conferenza TED dal titolo: “Ecco cosa mi hanno insegnato sei anni di prigionia sulla paura e sulla fede” racconta la sua esperienza. In Spagna le è stato conferito il Premio Principe delle Asturie (in spagnolo Premio Principe de Asturias) per la Concordia con la motivazione: “impersona tutti coloro che nel mondo sono privati della libertà a causa della difesa dei diritti umani e la lotta contro la violenza terrorista, la corruzione e il narcotraffico”. Tra i suoi libri ricordo: “Forse mi uccideranno domani“(2002) scritto prima di essere rapita e “Lettera dall’inferno a mia madre e ai miei figli” (2008) all’indomani della sua liberazione .
P.S. La storia di Ingrid Betancourt è a lieto fine ma la vicenda individuale non dovrebbe farci dimenticare le cause di un conflitto che ha insanguinato per anni la Colombia (e similmente molti altri Paesi dell’America Latina) e gli straordinari sforzi di molti uomini coraggiosi che hanno portato ad un processo di pace non ancora concluso. Ma di questo parleremo in un altro capitolo.
Ulisse: (se) questo è un uomo
Primo Levi è un famoso scrittore. E’ stato anche un chimico e durante la guerra un partigiano. Catturato è stato portato ad Auschwitz. Ha raccontato in “Se questo è un uomo” la lotta e la disperazione dei deportati, di coloro (molti) che furono sommersi e di coloro (pochi) che furono salvati. Di coloro che per tentare di sopravvivere non esitarono a fare cose abbiette e di coloro che, anche in quelle circostanze tragiche, seppero dare un esempio di dignità. In una delle sue pagine più intense lo troviamo a discutere con Jean Samuel, un giovane alsaziano, insieme al quale porta il rancio agli altri prigionieri. Il lager è un inferno. Ogni giorno centinaia (talvolta migliaia) di internati vengono avviati alle camere a gas oppure, secondo il capriccio dei kapò o delle SS o di ordini apparentemente burocratici, vengono torturati, fatti oggetto di sperimentazioni mediche… Jean è giovane, intelligente, forse vuole sapere della vita. Dove nasce il bisogno di raccontargli di Dante? di Virgilio che seppe guidarlo nei gironi dell’inferno? Forse anche lui si sente come Virgilio, Auschwitz è l’inferno? Forzando la memoria gli tornano alle labbra alcuni versi del canto ventiseiesimo, quello che narra dell’enigmatico incontro con Ulisse. Il canto è noto: Virgilio chiede a Ulisse in che modo avesse trovato la morte. Ulisse narra di essere giunto alla gola dove Ercole fissò le sue colonne. Su quel confine “che un dio fissò all’ambizione o all’audacia”, radunati i pochi uomini che gli sono rimasti, li incita ad avventurarsi per il mare aperto e sconosciuto degli antipodi che mai alcuno prima di loro aveva percorso. E’ il punto cruciale. Primo Levi si accorge che Jean lo segue affascinato, forse ha capito. Gli spiega alcuni versi importantissimi:
“ Ecco attento, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza
Fatti non foste a vivere come bruti
Ma per seguire virtute e conoscenza
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento ho dimenticato chi sono e dove sono (…) forse nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso (Jean) ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio e noi in specie, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle”.
Dal luogo più orrido e abbietto che il ventesimo secolo abbia saputo inventare, si ode ancora oggi, a distanza di tanti anni, una voce che ci ricorda la nostra dignità di uomini e l’alto destino a cui siamo chiamati. Il canto di Ulisse riguarda Primo Levi, riguarda il suo compagno di prigionia ma riguarda anche tutti noi, me e voi che leggete. Bisogna che anche noi apriamo gli orecchi e la mente. Ricordiamo le nostre origini! non siamo nati per vivere come bruti, (come delle bestie, come prigionieri, come gente senza dignità e senza coraggio); siamo nati per cercare la virtù e la conoscenza, per vivere dando significato alla nostra esistenza e mettendo cura nel modo con il quale la conduciamo.
Dal luogo di prigionia per antonomasia, il luogo pensato e costruito per distruggere l’umanità nell’uomo (quella dei prigionieri come quella dei loro carnefici) il canto di Ulisse suona come il canto di un uomo libero, come il canto di tutti gli uomini liberi. Il canto di coloro che non si rassegnano a vivere nell’inferno quotidiano, di coloro che pensano che le cose possono essere diverse e migliori, che non hanno paura di battersi per realizzarle. E Ulisse ci esorta al viaggio, ad attraversare le colonne d’Ercole, ad osare anche là dove sembra che nessun altro abbia mai osato, ad andare verso il mare aperto.
Non possiamo che partire da qui: da Auschwitz, che non è solo il luogo dove sono avvenute atrocità sconvolgenti, ma è anche il simbolo di tutti gli altri luoghi dove l’uomo è stato (e viene) torturato, umiliato, annichilito. E partire da Ulisse, sogno di due prigionieri certo, ma anche simbolo di chi vuole andare oltre, di chi non cessa mai di porsi domande, di chi vuol conoscere, provare, scoprire il mondo, gli uomini e anche se stesso.
La lotta tra Auschwitz e Ulisse, tra la barbarie e l’umanità la ritroviamo ancora oggi, nelle cronache dei quotidiani, nei luoghi dove ci impegniamo, a volte anche dentro di noi. E’ necessario partire, mettersi in cammino, prendere il largo, gonfiare le vele di un vento che ci sospinga verso nuove frontiere.
Ecco perché Ulisse è il simbolo, il modello, il prototipo dei rover e delle scolte. Ce lo indica un povero uomo, con la casacca a strisce e un numero tatuato sul braccio mentre porta il rancio ai suoi compagni. Ulisse è la possibilità di vivere con dei criteri diversi. Il roverismo scoltismo è una strada di libertà. Una strada rischiosa, ardua, non necessariamente la strada dei vincenti ma una strada che merita di essere percorsa da chi non si rassegna a essere parte di un gregge (o di un branco di maiali, per citare Circe e i suoi incantesimi).